L’ultima omelia di Pasqua del vescovo di Trieste Crepaldi: «Non chiudiamoci in noi stessi, apriamo il nostro cuore all’amore per il prossimo»
Tra il pubblico nella cattedrale di San Giusto anche il sindaco Dipiazza e il questore Ostuni

TRIESTE. L’ultima omelia come un invito alla vita, alla carità, alla speranza. L’arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi ha celebrato il 9 aprile la messa della domenica di Pasqua: una riflessione sul significato della resurrezione, quale «attesa oltre il corpo e nell’eterno».
Un invito all’amore e alla carità cristiana verso «i più deboli, i poveri e gli emarginati», e rivolto al pubblico di fedeli e istituzioni, in prima fila il sindaco Roberto Dipiazza e il questore Pietro Ostuni, raccolti nella cattedrale di San Giusto. In ultimo un richiamo al senso della ricorrenza, nella sua ultima celebrazione pasquale da vescovo alla guida della diocesi triestina, dover però rimarrà quale arcivescovo emerito: un momento di «speranza per la vita piena ed eterna».
Citando un versetto del vangelo secondo Giovanni, l’arcivescovo ha riflettuto sul significato del sepolcro, non come «casa definitiva di ogni persona umana», bensì quale «identità altra»: un sepolcro «oggi vuoto», a rivelare che «il nostro destino ultimo è mutato». La resurrezione di Gesù costituisce così «l’unica e vera svolta nella storia dell’umanità e di
ciascuno di noi: incapaci di sperare oltre la morte, rassegnati a essere destinati a un nulla eterno, oggi ci viene è detto che, in Cristo, la nostra vita non è per la morte, ma per la vita piena ed eterna».
La seconda lettura, imperniata sulle parole di San Paolo e sull’invito a «cercare le cose di lassù, non quelle della terra», apre dunque a una riflessione sulla partecipazione «alla vita
personale del Risorto, credendo alla sua risurrezione, incontrandolo»: «Lui è risorto per noi, perché anche noi avessimo la possibilità della vita eterna». Da qui per l’arcivescovo «l’atto di fede», cioè «credere della resurrezione»: rifuggendo dalla «personalizzazione dei sacramenti», abbandonando «ogni modo di pensare e di agire che ci porti a chiuderci in noi stessi», e dunque «aprendo il nostro cuore all’amore per il prossimo». Fuori da questa prospettiva di «rinnovamento spirituale e di carità operosa, la rinascita di Gesù è negata». La resurrezione, avverte il presule, «è negata ogni volta che usiamo la nostra libertà contro il bene comune. É negata dalle bombe che uccidono innocenti come nella guerra in Ucraina, è negata nel corpo delle donne violentate, è negata negli occhi pieni di paura dei bambini profughi». La resurrezione «è negata dalla mancanza di lavoro e dalle incertezze economiche per le famiglie numerose, o per i tantissimi anziani che a Trieste vivono di pensione e solitudine. É negata nel giovane irretito dalle droghe e dal vuoto esistenziale,
nell’ammalato non rispettato nella sua dignità».
Sullo stesso piano, la resurrezione «è negata nell’amore coniugale equiparato a ogni tipo di convivenza, nella vita umana soppressa nel grembo materno». Perché, conclude mons. Crepaldi, «la risurrezione di Cristo è, prima di tutto, un’affermazione del valore della vita, e della vita di tutti». Un invito, di nuovo, a impegnarsi perché «la resurrezione di Gesù sia all’opera in noi e fuori di noi».
Perché «sia una primavera rigogliosa di vita», in un orizzonte di «amore e speranza».
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