L’ufficiale Biot adesso vuole parlare

«Ai russi carte senza valore». In autunno i primi pagamenti. Il maggiore chiede un interrogatorio sulle informazioni cedute
L’agente del Gru Alexey Nemudrov (a sinistra) durante una cerimonia
L’agente del Gru Alexey Nemudrov (a sinistra) durante una cerimonia

ROMA Passato lo «smarrimento», il capitano di fregata Walter Biot tenta una rimonta. L’ufficiale e l’avvocato Roberto De Vita chiederanno un interrogatorio davanti al pm subito dopo Pasqua per sostenere che i documenti «rubati» e passati ai russi non sono rilevanti ai fini della sicurezza dello Stato. Dice il legale: «Biot è certo di poter ridimensionare grandemente la vicenda, perché non ha potuto avere accesso a informazioni di interesse strategico o operativo: il suo incarico non gli poteva garantire di avere a disposizione questi dati». Ma è un tentativo disperato.

Ci sono tre video con telecamere nascoste – nei giorni 18, 23 e 25 marzo – che lo inquadrano mentre scatta foto al monitor col cellulare, e ci sono le cronologie del computer, la registrazione degli accessi, la corrispondenza tra quanto era richiamato sul monitor e i documenti nella micro-card occultata in una scatola di farmaci, e ritrovata in tasca all’addetto militare russo. I fatti è impossibile smontarli. Il difensore tenterà di sminuirne il peso.

Ma su questa via, la procura non gli darà spazio. I documenti «rubati», infatti, portano i timbri di «riservatissimo» e «Secret Nato». Tanto basta. Secondo la procura, inoltre, dato che esiste questa classifica di segretezza, tali documenti non possono e non devono essere divulgati. Nemmeno l’avvocato difensore potrà mai visionarli. E se non fosse sufficiente la procedura penale, non si esclude che intervenga il presidente del Consiglio con l’apposizione del segreto di Stato su tutto il contenuto della card sequestrata martedì.

La tesi difensiva di Biot ruota attorno allo stato di bisogno che l’avrebbe indotto al tradimento e alla lieve portata del tradimento stesso. In effetti risulta che l’ufficiale avesse un nullaosta di segretezza di medio livello e che non potesse accedere a documenti strategici, protetti con la classifica di «segretissimo» o «Nato top secret». Eppure, anche se Biot ha potuto «rubare» solo documenti che hanno a che fare con analisi di scenario o la preparazione politico-diplomatica delle missioni all’estero, la gravità del reato resta gravissima. Perciò rischia una condanna da 15 anni all’ergastolo. E a livello di intelligence si sottolinea che l’infiltrazione russa finora non aveva creato chissà quali danni, ma per fortuna è stata tamponata subito, perché nel tempo magari Biot avrebbe fatto carriera e avrebbe potuto, allora sì, accedere a documenti molto più delicati.

Sembra che i russi l’avessero agganciato cinque o sei mesi fa. Facendo leva sul bisogno economico, lo hanno assoldato e istruito. Gli hanno dato più di uno smartphone e hanno deciso un linguaggio in codice per fissare gli appuntamenti (che non emergono dal traffico telefonico). Gli avrebbero dato i primi soldi. Poi lo hanno spinto a osare di più. Il comportamento di Biot, però, è apparso sospetto.

Ed è cominciata così, già nell’autunno scorso, un’indagine riservatissima condotta assieme dal controspionaggio della Difesa e dall’agenzia Aisi. Ci sono stati pedinamenti e intercettazioni. Ai primi di marzo, quando è stato chiaro che si avvicinava la prima consegna, si decide di far esplodere il bubbone.

L’Aisi informa i carabinieri, che inoltrano la prima informativa alla procura di Roma. La macchina e l’ufficio di Biot vengono riempiti di microspie e di microtelecamere. Lui e il russo, pedinati. Finché non scatta la trappola. «La notizia di reato è datata 26 marzo», sostiene l’avvocato De Vito. Tutto quello che accade prima, è materia d’intelligence e non entrerà mai nel processo. Quel che accade dopo è talmente grave da un punto di vista formale che per Biot non resta che sperare nella clemenza della corte. —


 

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