L’Ue punta a una stretta su Schengen
ROMA. L'area Schengen langue, soffocata dal peso dei flussi migratori e dalla minaccia terroristica. Il rimedio è il controllo delle frontiere esterne. Così la relazione biennale che Bruxelles pubblica assieme a due proposte che vanno in direzione di sigillare i confini. Da un lato una modifica mirata del codice Schengen per rendere obbligatori i controlli sui cittadini Ue in entrata e in uscita dalle frontiere esterne, contro il fenomeno dei foreign fighters; dall'altro, un'agenzia europea di guardacoste e guardie di frontiera. Una forza Ue che Bruxelles vorrebbe impiegare, in caso di necessità, anche contro la volontà degli Stati, erodendo un altro pezzo della loro sovranità. Una proposta, spinta da Francia e Germania, che sarà in discussione al vertice dei leader di domani. Nella bozza di conclusioni si prevede anche un'accelerazione della Commissione sulla revisione del regolamento di Dublino. Al centro delle discussioni sarà comunque il progetto sulla nuova agenzia Ue delle guardie di frontiera.
Intanto la missione militare italiana in Iraq fa un salto di qualità, come aveva chiesto a Matteo Renzi il presidente Usa Obama per rafforzare la lotta allo Stato islamico: 450 militari, ha annunciato ieri Renzi, saranno inviati nell’area di Mosul, roccaforte del Califfato, per proteggere i lavori di messa in sicurezza della diga artificiale che rischia di crollare, portando la morte nelle province di Ninive, Kirkuk e Salahuddin, con conseguenze drammatiche persino per la capitale Baghdad. I lavori sono stati affidati alla “Trevi spa” di Cesena. Lo sbarramento sul fiume Tigri - alto 131 metri e lungo 3,2 chilometri - è pericolante: se finisse nelle mani degli jihadisti, che già l’avevano attaccato un anno fa, potrebbe essere fatto esplodere e trasformato in una gigantesca “bomba ad acqua”. I 450 militari si aggiungeranno ai 750 dell’operazione italiana “Prima Parthica”, con il grosso delle truppe schierate a Erbil, nel Kurdistan, e a Baghdad, con funzioni di addestramento.
Il Paese è dilaniato. Ieri 65 soldati iracheni impegnati nell’offensiva per strappare Ramadi all’Is sono stati uccisi in 12 attacchi suicidi. La Turchia intanto ha rifiutato di ritirare i suoi militari «finché Baghdad non riuscirà a garantire la sicurezza a Mosul e al confine turco-iracheno». Una parte delle truppe schierate nella base di Bashiqa, a 30 km da Mosul, è stata trasferita nella regione autonoma del Kurdistan, ma il premier al-Abadi ha chiesto il totale rientro delle truppe.
Da ieri Ankara è una delle potenze regionali che hanno deciso di unirsi contro lo Stato islamico e contro «qualunque gruppo terrorista» nell’Alleanza militare islamica: la coalizione, formata da 34 Paesi, è stata battezzata a Riad sotto la regia dell’Arabia saudita. Con l’esclusione dell’Iran e dello stesso Iraq, a rimarcare l’eterna rivalità tra sunniti e sciiti. E senza escludere la possibilità di inviare truppe di terra.
«Non è il rimpiazzo della coalizione anti Is composta da 65 Paesi», ha precisato la Casa Bianca che ha promosso per venerdì, a New York, una conferenza internazionale sulla Siria. Dopo i colloqui di ieri a Mosca tra il segretario di Stato americano John Kerry, il suo omologo Serghei Lavrov e il presidente Vladimir Putin , le posizioni di Usa e Russia sembrano più vicine: «Siamo pronti a lavorare con Mosca per la disfatta dell’Is» ha detto Kerry. Brusca frenata, invece, nei colloqui per la formazione del governo di unità nazionale in Libia: la firma attesa oggi a Skhirat, in Marocco, non ci sarà. «Ci serve più tempo», è stato detto.
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