Lubiana, una piccola capitale che corre veloce
LUBIANA
È questo piccolo pezzo di strada, anzi di piazza oblunga, che si chiude con la chiesa di San Floriano, dove le guide stipano gruppi di straniti giapponesi, che la rivista britannica «Wallpaper», bibbia del cool e del bel vivere, ha indicato come tratto imperdibile della Lubiana trendy, definita la capitale più alla moda del momento. Una manciata di numeri civici che aprono un'oasi londinese, milanese, parigina, nel tessuto rilassato della storia, sul vecchio scheletro medievale su cui si è appoggiato il barocco. Due piani temporali che spiazzano il turista, disorientato dalla placida intersezione di passato e futuro, di archeologia e invenzione, di est e ovest. Dall'altro capo di Prešernov trg, dove il monumento al più grande poeta sloveno, France Prešeren, fa da ideale spartitraffico tra il paese vecchio e nuovo, su Tavcarjeva ulica, la stilista Almira Sadar, una tra le più celebri creatrici slovene, ha aperto da tre anni il suo negozio design. Computer e apparecchi per bancomat e carta di credito sono relegati in fondo, quasi nascosti, perché l'ambiente è concepito come una galleria d'arte, dove il cliente può girare liberamente, toccare, guardare, e gli allievi di Almira, che insegna al Dipartimento tessile dell'Università di Lubiana, possono entrare e scambiare idee.
LA CAPITALE.
«La vita qui è cambiata radicalmente negli ultimi anni, ambasciate e uffici governativi hanno portato a Lubiana moltissimi stranieri», racconta la stilista. «Gli sloveni viaggiano di più, il ricambio di idee è continuo. All'Università abbiamo allievi che arrivano da Finlandia, Scandinavia, Svezia, Danimarca, oltre che da Croazia, Ungheria, Repubblica ceca. I nostri studenti vanno all'estero almeno per sei mesi. Lubiana ha un respiro internazionale, ma la vita è lenta, a misura d'uomo, e questo la rende speciale. Gli stranieri amano vivere qui. I miei clienti? Soprattutto inglesi, mi comprano intere collezioni. Ma anche francesi, italiani e croati, che per vestirsi spendono più di noi». A un centinaio di chilometri da Trieste, c'è una città che ha le dimensioni e il ritmo della provincia, ma che è una capitale europea, e, soprattutto, ne ha le ambizioni.
Una capitale di quella nuova Europa entrata da poco tra le vecchie signore occidentali, così scalpitante da aver bruciato tutte le tappe in un paio d'anni, trasformandosi in un polo d'attrazione artistico, musicale, culturale, pieno di giovani, di turisti e di effervescenza. Centocinquant'anni fa entrambe facevano parte dell'impero asburgico, dal 1857 collegate con la ferrovia. Oggi Trieste è separata da Lubiana da un pachidermico viaggio in treno che dura oltre sei ore (si arriva a Monfalcone e poi si cambia, o, in due ore e più, a Villa Opicina, per poi prendere l’autobus...) e da una distanza psicologica infinitamente più grande. Negli anni Ottanta gli sloveni erano intruppati in quella marea di slavi che calava a Ponterosso per comprare jeans e caffè («intruppati» solo nell'immaginario triestino, perché dalla repubblica confinante, la terra più ricca, evoluta e indisciplinata della Jugoslavia di Tito, si veniva a Trieste per fermarsi in realtà nei negozi più belli e per cercare un riso più raffinato di quello macedone…), oggi i giovani triestini salgono a Lubiana per i concerti dei Depeche Mode e dei Simply Red, rigattieri e antiquari per scovare rarità al mercato delle pulci domenicale, intere famiglie per passare la giornata gironzolando tra i negozi di centinaia di griffe ospitate nel mega centro Btc, un'altra città commerciale ai bordi della città. Il flusso degli acquisti ha invertito la rotta, ma Lubiana si è attrezzata per stuzzicare e trattenere il visitatore, d'estate con manifestazioni culturali che durano mesi interi e la rilassatezza di una vita mediterranea.
«Gli scambi esistono ancora, ma a un livello diverso, estetico non più di necessità», osserva Ervin Hladnik Milharc v ic v, penna di punta del giornalismo sloveno, ex inviato di guerra nei Balcani, ex corrispondente da Washington, epurato dalla carica di responsabile del supplemento settimanale del «Delo» per motivi politici e oggi in forza al «Dnevnik». «Da Lubiana si va a Trieste per trovare gusti, odori, sapori diversi da qui. Non per le Torri d'Europa, ma per cercare prodotti particolari, ”locali”, nella gastronomia sofisticata. Lubiana è una capitale, ha tutto, ha un ristorante francese identico a quelli di Parigi, altrimenti l'ambasciatore non ci andrebbe né porterebbe i suoi amici. Vent'anni fa ti sembrava la fine del mondo conosciuto, oggi è una città internazionale. Credo che la domanda corretta sia: che cosa offre Lubiana a Trieste, e Trieste a Lubiana? Per me Trieste è Miramar, ci porto le mie figlie, è un luogo rimasto immobile, congelato, come nelle favole». Dice Almira Sadar: «La mia generazione fa fatica a considerare Trieste come qualcos’altro che un posto dove comprare. Io stessa solo adesso mi accorgo che ho voglia di andare a visitare la mostra di Warhol nella nuova Pescheria. I giovani? Credo che non la vedano proprio».
LE ANIME.
Lubiana, spiega Milharcv icv , offre invece l'esperienza di una «città in movimento», di un centro dell'Europa dell'est che sta entrando nell'Ovest. Una realtà in trasformazione, dove il vecchio reticolo urbano intorno al Triplice ponte di Jozv e Plecv nik, grande padre dell'architettura cittadina, stenta a sopportare il flusso di traffico ingrossato, e il trenino che porta a spasso i turisti, simile a quelli di Gardaland, si ferma a Prešernov trg, a due passi dal Sushi Mama, primo ristorante giapponese della città e famoso anche fuori dai confini nazionali. A poche centinaia di metri di distanza, convivono altre anime di Lubiana, quella balcanica e quella mediterranea. Al di là del Triplice ponte, nel mercato all'aperto di Pogacv arjev trg, vecchie contadine vendono funghi e frutti di bosco, mentre sotto il colonnato di Plecv nik, da «Plac», in un'aria densa di odori forti, i commercianti locali mangiano al banco piatti di pesce con insalata e bevono vino bianco fin dalle prime ore della mattina, guardati con perplessità dai turisti orientali, che preferiscono rifugiarsi in un vicino McDonald's.
Frotte di ragazzi piegati sotto zaini monumentali curiosano tra i banchi di piante officinali, oggetti di legno e ceramica, candele colorate, liquori di miele che riportano sull'etichetta una fantasiosa traduzione italiana: «miele in acquite». «Lubiana è la capitale del provincialismo, fin da quando era romana», annota Ervin Hladnik Milharcv icv . «Qui c'è il gotico perfetto, il manierismo perfetto, il fin de siècle perfetto. Sono arrivati tutti gli stili, ma quando erano già risolti. Come il mall, il centro commerciale, copiato di sana pianta da altri. In questo Lubiana assomiglia a Trieste: non c'è stata sperimentazione».
L’ATMOSFERA.
Sul lungofiume della Ljubljanica è un’altra vita. Dodici anni di libera iniziativa sono bastati a cancellare la patina dell'Est e a ridare alla città la sua reale dimensione cromatica. Come liberandosi da un involucro grigiastro, Lubiana si è riappropriata dei suoi pastelli. Le case sono fascinose e costosissime, con prezzi, appunto, da capitale occidentale. Pub e ristorantini si aprono uno dietro l'altro, con tavolini all'aperto e sgabelli a ridosso dell'argine, su cui si appendono, fino a notte inoltrata, i turisti inglesi scaricati in massa dai voli low cost, per un'alcolica vacanza bohémien. Qui, alla Kavarna Macek, è facile incontrare Zoran Jankovic, di origine serbe, ex presidente della catena di supermercati Mercator (rimosso perchè non gradito al governo di centrodestra del premier Janez Jansa), superfavorito candidato sindaco nelle prossime elezioni autunnali come indipendente di centrosinistra.
Il suo ufficio elettorale è proprio sul fiume. «Nel '90 il 51% degli sloveni veniva a comprare in Italia, nel 2004 solo il 5%», dice con orgoglio. «L'Italia? Per noi è Venezia, Parma, Bologna. E' lì che vanno i nostri studenti. Trieste è troppo vicina». I pub sono anche piccole gallerie d'arte e servono cappuccini, grappe, tè, gelati e crepes, in un incredibile sincretismo gastronomico di est ed ovest. Fuori, sulla passeggiata pedonale, si suona a tutte le ore musica classica, pop, etno. Tra i giovani la lingua comune è l'inglese, che padroneggiano tutti con disinvoltura. Sui gradini del monumento a Prešeren, che raccoglie e smista la gioventù locale, capita di ascoltare una conversazione tra due coetanee. Una arriva da Amsterdam ed è a Lubiana per la «summer school», l'altra, lubianese, è stata in Olanda con un programma di scambio universitario.
Tempo pochi secondi e l’olandese si lancia in un ardito paragone tra Prešernov trg e piazza Dam ad Amsterdam: hanno la stessa funzione di punto d’incontro dei giovani, di piazza simbolo, di cuore della città?, chiede. La giovane lubianese snocciola informazioni su quanto la sua città offre per tutta l'estate: dal «Trnfest», musica, teatro, danza, letteratura e cinema, quest'anno dedicato in parte proprio alla cultura olandese, alla musica classica del «Festival di Lubiana», dal «Festival Sanje», che al parco Zvezda propone reading, spettacoli teatrali, concerti folk e jazz, agli eventi alternativi nella turbolenta scena «off» del quartiere di Metelkova (che la logica economica vorrebbe rimuovere per mettere le mani su terreni di pregio, e l’ideologia di destra per cancellare questa «macchia» in centro città...). Qui c'è il «Celica», l'unico vero ostello di Lubiana, ricavato in un'ex prigione militare, con camere ospitate nelle vecchie celle e disegnate ciascuna da un architetto di grido, sloveno o straniero. «Le carceri che diventano un ostello. A livello simbolico significa qualcosa...», suggerisce Ervin.
DUE MONDI.
«A Lubiana la qualità della vita è alta. Si può scegliere di tutto senza essere soffocati dalla scelta» dice Lucka Pockaj, attrice del teatro stabile di Celje, che da Barcola si è trasferita nella capitale slovena. «Ora che non c'è più l'urgenza dello shopping, verso Trieste è rimasta un po' di curiosità. Magari ci si va per un caffè, qualcuno tenta di scoprirla. Io sono molto affezionata alla mia città, ma gli amici che ho qui la considerano assonnata, affaticata, seppure bella». Ervin Milharcv icv ritorna alla sua domanda iniziale. «Nel 2004, quando ci fu l'incontro del mondo slavo con l'Europa dell'ovest, era chiaro quello che noi volevamo prendere dall'Occidente: democrazia, benessere, sicurezza. Ma il vero interrogativo è l'altro. Ovvero, l'Europa slava può piacere all'Europa latina? Lubiana ha senso per un triestino? C'è qualcosa di usabile, qualcosa di bello che ti porti con te? Io credo di sì». Al numero 19 di Gornje tgr, nella galleria Luwigana, la giovane Ajda Erznovnik, studentessa d'arte, dipinge facce colorate su un manichino bianco. «Sono i volti dei miei amici - spiega - rappresentano la nostra vita, il nostro presente». Il manichino, insieme a centinaia di altri firmati da giovani artisti, servirà per un'esposizione all'aperto, il prossimo 31 agosto a Maribor. «L'Italia mi piace molto - dice Ajda - ho visitato alcune città. Trieste? Non la conosco, ma devo venirci presto. Mi hanno detto che lì i colori a olio costano meno».
Riproduzione riservata © Il Piccolo
Video