Lubiana pronta ad arruolare anche i cittadini europei
LUBIANA. Nell’Europa in crisi dove si sta diffondendo il messaggio dei messia nazional-populisti i quali invitano a venerare l’inviolabilità del sacro territorio di Stato, c’è invece una profonda crisi di vocazione di quelli che i sacri confini dovrebbero difenderli, ossia i militari. Crisi di vocazione che si traduce in decisioni che cinquant’anni fa non sarebbero nemmeno mai state pensate.
La Slovenia nel 2017 ha visto le fila del suo esercito crescere di sole 137 unità e attualmente deve fare i conti con battaglioni sguarniti di almeno mille unità. E la crisi di “vocazioni” militari sembra in continua crescita. Qualche mese fa nel mondo politico ha iniziato a circolare l’ipotesi di reintrodurre il servizio di leva obbligatorio, come del resto sta pensando di fare anche il presidente francese Emmanuel Macron che pochi giorni fa ha annunciato il suo “servizio nazionale universale”, una sorta di servizio militare o civile per tutti (uomini e donne) prevedendo che sia «obbligatorio per almeno un trimestre», con la possibilità di una durata da 3 a 6 mesi.
L’idea della leva o di un suo “surrogato alla francese”, in Slovenia, ha avuto uno scarso riscontro sia nell’opinione pubblica che, soprattutto, nei vertici militari; ma anche i politici, fatti due conti, hanno visto che le spese militari verrebbero a crescere in modo troppo elevato rispetto alla sostenibilità delle stesse dai bilanci dello Stato.
Così adesso torna in auge la possibilità che l’arruolamento all’Esercito della Slovenia venga aperto anche ai cittadini di tutta l’Unione europea, come avviene, peraltro, già in Belgio e, con un regime un po’ diverso, in Danimarca. Ci sarebbero da superare ostacoli di natura legislativa e andrebbe vinto lo scetticismo espresso dallo stato maggiore sloveno, il quale definisce tale possibilità come una soluzione momentanea che non risolverebbe il problema. Insomma, più che una soluzione alla crisi di “vocazioni” militari nel Paese l’apertura dei confini agli arruolamenti “europei” viene vista dagli uomini con le stellette come una sorta di “extrema ratio” di cui non appare fin qui traccia in nessun documento ufficiale dell’Esercito.
Le motivazione della crisi di arruolamenti va ricercata qui in Slovenia non tanto nel venire meno dell’amor patrio, ma in questioni molto più venali, ossia nella paga che l’Esercito assicura a un soldato appena arruolato, paga che ammonta a 1.043 euro lordi. Un’offerta, come spiegano gli esperti, assolutamente poco concorrenziale rispetto ad altre offerte di lavoro che si sono aperte negli ultimi mesi in Slovenia. Ad esempio, a un operaio in possesso di licenza media l’azienda Magna a Hoče - secondo quanto riportato da coloro i quali sono stati ai colloqui per ottenere il posto di lavoro - offre circa 1.500 euro lordi al mese. «Non troviamo nuovi candidati con facilità - afferma anche Simon Korez, il rappresentante dell’Esercito sentito da Rtv Slovenija - avremmo bisogno di poter offrire almeno una paga netta di 1.000 euro al mese affinché un numero maggiore di giovani si presentasse da noi per l’arruolamento».
Tra i primi a fare i conti con questa crisi di “vocazioni” a indossare la mimetica, a fronte di eserciti di professionisti e non più di “naioni”, è stato il Belgio che, come detto, dal 2004 ha “aperto” il reclutamento a tutti i cittadini dell’Unione europea. Condizione imprescindibile però è la conoscenza della lingua francese o dell’olandese. E così solo nel primo anno di “liberalizzazione” dell’esercito le domande di arruolamento sono state più di cinquecento, la maggioranza delle quali proveniva dalla Francia e dall’Olanda, ovviamente vista la condizione della conoscenza linguistica.
“Liberalizzazione” più limitata è invece quella danese in quanto bisogna già essere residenti in Danimarca e ogni caso, ossia ogni domanda di chi sta chiedendo di ottenere la cittadinanza danese oppure quella per la residenza stabile in Danimarca, viene valutato singolarmente. Copenhagen richiede, inoltre, un livello di conoscenza del danese che permetta di poter operare in un teatro di guerra.
Riproduzione riservata © Il Piccolo