L’Osce pianifica le migliorie strategie per fornire sicurezza “a 360 gradi”
VIENNA. Dal disarmo convenzionale e nucleare alle crisi regionali, da quelle ormai “consolidate” come nel Nagorno-Karabach, alle più recenti quali la siriana; dalle Primavere arabe al nodo apparentemente senza soluzioni costituito dall’Afghanistan. Senza tralasciare le minacce a quella che è definita la “seconda dimensione” della sicurezza: non implicano bombe o cannoni ma hanno nomi precisi quali immigrazione, accesso alle risorse energetiche, idriche e alimentari, terrorismo cibernetico. Nella due-giorni promossa dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) a Vienna, la città che ospita la sua sede principale, 400 tra relatori, esperti e osservatori hanno discusso di questi e altri temi. Un dibattito, un forum biennale al quale il segretario generale, l’italiano Lamberto Zannier, ha dato un’impronta ancora più aperta e multidisciplinare, con uno sguardo finale al futuro. Anzi sui futuri possibili di questa struttura internazionale che, nata in piena Guerra fredda come spazio di dialogo Ovest-Est, è cresciuta fino a contare oggi 57 Stati-membri e con attività che spaziano dal Marocco alla Tailandia: la più grande organizzazione regionale al mondo.
“Fornire sicurezza non è fare della carità poiché ai giorni nostri anche la minaccia è globalizzata, non ha frontiere” ha sottolineato con vigore il ministro degli Esteri libico Mohamed Abdul-Aziz. “In Nord Africa e nel Sahara – ha continuato - il crimine organizzato si rafforza, con traffici di esseri umani e d’armi, che favoriscono e finanziano il terrorismo. Senza un vigoroso supporto dai Paesi stranieri, non siamo in grado di controllare i confini terresti e marittimi”. L’esponente di Tripoli ha sollecitato conferenze regionali sula sicurezza basate anche sullo scambio di intelligence, anche per affrontare il radicalismo islamico: “Se vogliamo sicurezza, dobbiamo investire, dall’interno e dall’esterno”.
“In mancanza di un sostegno alla cooperazione regionale e a una campagna mediatica, il problema del fanatismo musulmano potrà solo che peggiorare” ha concluso, ufficializzando la richiesta di associazione all’Osce .
Una minaccia di diverso aspetto ma non meno drammatica cova in un altro Paese arabo. “Nei prossimi otto mesi dalla Siria arriverà in Europa un milione di profughi se la situazione non migliorerà” ha avvertito Dora Bakoyannis, ex ministro greco ed ex sindaco di Atene, particolarmente coinvolta poiché dovrebbe essere il Paese ellenico a subire l’urto dei disperati. Ma la battagliera parlamentare di Nea Dimokratia, ha puntato il dito anche contro altre criticità ormai anche troppo datate: “I colloqui di Ginevra sul Nagorno-Karabach sono fermi dove li ho lasciati quando ero presidente di turno dell’Osce. Anche le trattative sulla Georgia sono in stallo. Credo che l’Osce dovrebbe fare i compiti”.
Ma la dissoluzione dell’”impero” sovietico non ha solo comportato crisi regionali e transregionali legate all’indipendentismo. “Dobbiamo ridare impulso al disarmo, prefigurando verifiche credibili, è uno degli “unfinished business” che ci ha lasciato la Guerra fredda ” ha aggiunto Igor Ivanov con una “libertà di parola” ben più lunga della memoria che spesso si concedono gli “ex”. Al passato titolare russo della Difesa è stato subito rimarcato come sia stato o stesso Vladimir Putin, nel 2007, a fare sospendere a Mosca il Trattato Cfe, quello sul bilanciamento delle forze convenzionali in Europa.
Purtroppo un altro settore degli armamenti pone una seria, assoluta quanto dimenticata, negli ultimi lustri, minaccia al futuro di tutta l’umanità: quello nucleare. E’ stato un altro “ex” della Difesa, il britannico Des Browne, a riproporre encomiabilmente lo spettro della catastrofe atomica con i suoi arsenali. Che presentano ancora cifre di assoluto rilievo e una geografia “scomoda” per quell’Occidente che per tanti versi sembra avviato al suicidio: culturale, identitario prima ancora che fisico, purtroppo altrettanto realistico, in nome della “correttezza politica”. “Nove su 14 nazioni e circa il 98% delle armi nucleari si trovano nella Zona euro-atlantica” ha specificato lo stimato esperto di disarmo del Regno Unito. “La maggior parte delle armi nucleari – ha ammonito – sono ospitate in aree o Paesi insicuri. Molti esperti concordano: in futuro, prima o dopo, per sbaglio o per un piano deliberato, magari frutto di stime errate, una di queste verrà usata. Senza contare che persino in questi giorni cospicui stanziamenti sono impiegati nello studio di nuovi ordigni atomici o per la loro modernizzazione”.
Per l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la cui attività spazia dalla tutela dei diritti umani e di genere alla lotta al traffico di esseri umani, dall’educazione e monitoraggio elettorali all’addestramento di vari settori delle forze di polizia, Browne intravede un ruolo leader nel coordinamento degli sforzi politici per ridurre il rischio nucleare.
E’ una delle tante ipotesi di lavoro per un’organizzazione che si è conquistata in quasi 20 anni stima e credibilità, tra i governi come tra la maggioranza delle popolazioni tra le quali ha operato, distinguendosi per il cosiddetto “approccio globale”, cioè l’impegno e la capacità di mettere sul campo, in aree di crisi e di conflitto, esperti e attività mirate a 360 gradi per pacificazione, democratizzazione e sviluppo.
Ma il dibattito finale si è concentrato più sul “come” che sul “cosa” farà l’Osce nel futuro, ponendo un orizzonte temporale concreto e al contempo simbolico: il 2020. Anche perché focolai di destabilizzazione e situazioni di post conflitto sembra continueranno a non mancare, purtroppo anche dopo la data considerata.
“L’Osce è vittima dei suoi successi. I compiti affidatile 20 anni fa sono stati assolti” ha premesso mescolando generosità di giudizio e ironia Adam Rotfeld, ricercatore ed ex ministro polacco. Per il quale “è naturale che le istituzioni internazionali cambino, proprio come noi esseri umani. Quindi è prioritario redigere una nuova mappa dei rischi, affinché l’organizzazione possa ancora lavorare per la sicurezza. Tenendo a mente tre principi: interdipendenza, trasparenza e solidarietà. Non dobbiamo avere paura di essere innovativi: il Nuovo Testamento non ha annullato il Vecchio”.
“Talvolta è utile tornare con lo sguardo alle origini, dovremmo riappropriarci di quel momentum che ha caratterizzato nel 1975 la nascita della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, antesignana dell’Osce. Dovremmo ri-energizzare questa istituzione ripetendo quanto fatto negli Anni ’90, con la nascita di nuovi organismi quali il Rappresentante speciale per la libertà dei media e altri” ha proposto Alexandr Vondra. L’ ex ministro della Difesa ceco ha sottolineato come non vi sia necessità di elaborare nuovi principi e nuovi metodi d’implementazione pratica degli stessi: “L’”approccio globale” proprio dell’Osce è un “asset” pagante, specie se si parla di sicurezza. Continuiamo a percorrere questa strada”. E mentre l’esperto russo Fyodr Lukyanov ha fatto notare che anche l’Unione europea, gli Stati Uniti, la stessa Russia nel 2020 saranno diversi e che “è fantastico che l’Organizzazione stia diventando sempre più globale ma ciò pone il quesito di cosa are nelle nuove aree d’interesse, con pragmaticità Bakoyannis sprona e sintetizza: “ Abbiamo bisogno di una storia di successo per conquistare la confidenza dei nuovi interlocutori”.
Per fare cosa? Con saggezza Rotfeld osserva: “E’ illusorio puntare, nel nome della sicurezza, a mantenere la stabilità. Piuttosto miriamo a promuovere i cambiamenti in maniera sicura”.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo