«Lorito fu vittima del doppio gioco dei suoi informatori»

Le motivazioni della sentenza d’appello: l’assoluzione piena non spazza del tutto la tesi del consumo personale di “coca”
Di Claudio Ernè
Lasorte Trieste 18/07/12 - Tribunale, Carlo Lorito
Lasorte Trieste 18/07/12 - Tribunale, Carlo Lorito

Carlo Lorito non ha corrotto e non è stato corrotto. Non ha aiutato qualche conoscente a sfuggire alle indagini avviate dalla Questura di Trieste, non ha nemmeno rivelato segreti investigativi. Per questo la Corte d’appello presieduta da Igor Maria Rifiorati il 18 luglio di un anno fa lo ha assolto da tutte le accuse rovesciando la decisione assunta dal Tribunale il 29 gennaio 2010. «Il fatto non sussiste», è la formula adottata dai magistrati di secondo grado. A distanza di un anno dalla sentenza i giudici della Prima sezione della Corte d’appello hanno depositato in cancelleria le «motivazioni» della loro decisione.

In altri termini spiegano in 95 pagine i retroscena di uno dei più laceranti e controversi casi giudiziari che hanno coinvolto un dirigente della Polizia di Stato che è stato prima rinchiuso in una cella del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, poi ha subito i domiciliari nella sua abitazione di Sant’Andrea, è stato privato dello stipendio per almeno tre anni e giocoforza ha dovuto chiedere anticipatamente di essere congedato per diventare un pensionato. Senza citare i riflessi negativi delle accuse sui suoi colleghi, collaboratori, amici, familiari e l’impatto emotivo che per cinque anni ha accompagnato le iniziative non solo giudiziarie dei difensori, gli avvocati Giorgio Borean e Riccardo Seibold. Ora la sentenza di assoluzione dice e spiega che Carlo Lorito non ha violato la legge, che non è colpevole e tantomeno ha tradito la divisa che per più di trent’anni ha segnato la sua vita.

“Com’è potuto accadere?”, ci si potrebbe chiedere. Il presidente Igor Maria Rifiorati lo spiega a chiare lettere nelle motivazioni. Viene citato il «doppio gioco» di alcuni informatori che riferivano le loro “soffiate” sia agli investigatori della Squadra mobile di Trieste sia a quelli della Questura di Gorizia. Vengono riportate alla ribalta vecchie vicende collegate alla gestione di locali notturni triestini e di località balneari della costa friulana. Ma soprattutto la Corte d’appello sottolinea il ruolo devastante che il consumo e lo spaccio di cocaina hanno avuto in questa brutta storia su cui ore scende il sipario.

Carlo Lorito è finito in una tramoggia che per cinque anni lo ha macinato proprio perché in questo mondo di spacciatori e informatori doppiogiochisti si è mosso come investigatore fin dai primi Anni Ottanta. Nemmeno l’assoluzione con formula piena è riuscita a spazzare via completamente la tesi che l’ex vicequestore abbia fatto, seppure saltuariamente, uso di cocaina. L’ipotizzato uso personale, va ribadito, non è reato. «Si ritiene di dover affermare come sufficientemente provata agli atti - scrive il presidente Igor Maria Rifiorati - la circostanza per la quale il dottor Lorito avesse ricevuto, gratuitamente, da Fabio Novacco e Diego Deste, cocaina, destinata al proprio uso personale». E ancora: «Assai meno certa è la dimensione del fenomeno, anche perché è mancata, nella fase delle indagini, ogni puntualizzazione su tale circostanza». Nelle stesse pagine delle motivazioni la Corte d’appello in un verso scrive che l’incertezza va interpretata a favore dell’imputato, nell’altro che il consumo di cocaina «poggia su solide basi probatorie». Parole severe anche per il principale accusatore di Lorito, il pescivendolo Diego Deste. La Corte d’appello ribadisce «la sua condizione di tossicodipendente, il comprovato uso smodato di cocaina nel periodo delle indagini e gli altrettanto comprovati abusi alcolici». Da citare infine le analisi chieste in carcere ma effettuate privatamente a Pordenone sui propri capelli, piuttosto lunghi, da Carlo Lorito. Nessun segno di avvenuta assunzione di cocaina, anche nei mesi che avevano preceduto l’arresto del 17 novembre 2007. Un mistero nel mistero.

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