L’ordinanza non arriva: a Monfalcone i centri islamici confermano la preghiera
L’annuncio dei vertici della comunità dopo la stretta decisa dalla sindaca Cisint: «Non abbiamo ricevuto il provvedimento: attendiamo i fedeli come ogni venerdì»
MONFALCONE Non c’è carta a cantare (per il momento) e allora la Salat al-Jumu’ah, preghiera del venerdì, «si farà». Al netto di fuori programma, con un primo turno alle 12.30 e un secondo alle 13, la comunità islamica oggi «si incontrerà certamente in via Duca d’Aosta», la storica culla di raccoglimento spirituale dei musulmani a Monfalcone. Lo ha detto ieri in serata Bou Konate, il presidente onorario del Darus Salaam, uno dei due centri culturali raggiunti dalla notifica di un provvedimento amministrativo, tecnicamente un’ordinanza dirigenziale, con cui il Comune inibisce «con effetto immediato» l’impiego di quegli spazi come luogo di culto.
Le parole della sindaca
In ragione di due aspetti fondamentali, come ha ribadito la sindaca Anna Cisint, emersi nel corso di «quattro mesi di verifiche», vale a dire la mancata applicazione della destinazione d’uso dell’immobile, fissata dal Piano regolatore generale (che prevede per il Darus Salaam, di proprietà dell’associazione, una funzione direzionale, mentre per il Baitus-Salat di via Don Fanin, in locazione, un impiego commerciale) e per «le violazioni delle condizioni di sicurezza interna ed esterna», date da appurati affollamenti.
Preghiera sempre più folta
Pure ieri Konate ha confermato, come il giorno prima, di «non aver ancora ricevuto o letto alcun atto», senza aggiungere commenti sul punto. Ha spiegato pertanto che la comunità si comporterà oggi «come sempre». E dunque pregherà. Da due settimane la presenza si è peraltro fatta più folta, al venerdì. Ogni turno raccoglie, stando a Konate, «120 persone».
E «se è necessario si aggiunge un terzo giro». Assai probabile, in caso di astensione dal lavoro delle maestranze dell’indotto navalmeccanico: oggi Cgil e Uil hanno indetto lo sciopero generale. Il mood che permea la comunità bengalese, compagine maggioritaria nell’oltre 30% di popolazione di origine straniera insediata in città, è per ora un mix tra fatalismo (si attende il provvedimento) e preoccupazione. «Ho parlato con tanti connazionali e specialmente quelli che si recano a pregare ogni giorno sono allarmati poiché questo fatto avrà conseguenze negative», spiega il consigliere democratico Sani Bhuiyan. Che ha contattato un referente del Baitus-Salat: «Mi ha confermato di non aver ricevuto nulla e, quindi, il mantenimento della preghiera. So che ci sono stati contatti con le forze dell’ordine in merito».
Le due strade possibili
In effetti, da quanto si apprende dalla sindaca a vigilare poi sull’effettiva esecuzione dell’ordinanza saranno gli uffici dell’Urbanistica («un dirigente ha firmato l’atto») e la Polizia locale «assieme alle forze dell’ordine». Il documento resta «non pubblico, proprio in virtù dell’iter». E una volta noto, alla controparte si profileranno due strade: l’esecuzione di quanto intimato oppure l’impugnazione, come qualsiasi atto amministrativo. «Basta con le zone franche di predicazione, dove non si pratica la lingua italiana – sempre Cisint –: anche qui ho osservato segnali preoccupanti come i cori “Allah Akbar” contro Israele. Ci sono 6.600 residenti stranieri e oltre 1.500 persone in transito: non si può sapere se è tutta brava gente. La sicurezza in primis». Niente preghiera affollata, insomma.
Il dibattito politico
La questione ha incendiato intanto il dibattito politico. Il primo a intervenire, il consigliere regionale Enrico Bullian (Patto per l’autonomia), che invoca l’integrazione religiosa e chiede: «Persone di qualsiasi fede hanno diritto a professarla liberamente, anche in propri luoghi di culto? E se un terzo della una città da 30 mila abitanti ha origine straniera, per buona parte a fede musulmana, questi cittadini avranno la possibilità di riunirsi?». Spetta al Comune «cambiare la destinazione d’uso dei locali».
Invece il segretario della Lega Marco Dreosto plaude: «A Monfalcone torna la legalità. Basta con centri culturali islamici fuori dalle norme. Chi vuole venire da noi e lavorare è bene accetto, ma deve rispettare regole e cultura del Paese ospitante. Per troppi anni abbiamo assistito al lassismo della sinistra davanti alle continue violazioni di centri culturali. Ora, visto il momento di massima allerta e tensione a livello globale, non possiamo né dobbiamo chiudere gli occhi».
Quindi Diego Moretti, capogruppo del Pd, che imputa a Cisint, «onnipresente in tv» e «in procinto di candidatura europea», di «esasperare e avvelenare un clima sociale di contrapposizione che non fa bene a nessuno»: «È davvero fuori luogo impedire di esprimere liberamente la fede religiosa, principio sancito dalla Costituzione». E lo stesso vale per «la giustificazione, ossia problemi di ordine pubblico, che non risultano mai segnalati dal Prefetto o Questore ai sindaci, o di sicurezza, temi facilmente risolvibili con prescrizioni amministrative». Così Rosaria Capozzi (M5S): «La leghista Cisint persegue nella sua crociata che ha il sapore elettorale e risulta pericolosa in un momento storico difficile». In difesa accorre ancora la Lega, con il capogruppo Antonio Calligaris: «Per gli italiani esistono delle regole di sovraffollamento e destinazione dei locali, non si capisce perché gli immigrati debbano essere esentati dal rispettarle».
E ancora: «A Monfalcone non sì può non notare una svolta radicale della comunità islamica con la comparsa di burqa anche per le bambine e pretese sempre più insistenti». Fino a dire «gli esponenti del Pd continuano a difendere gli immigrati e a non interessarsi degli italiani».
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