L’omaggio di Teddy Reno all’amore di gioventù

Il cantante ricorda Mariuccia Zorzini in Belrosso conosciuta al liceo Dante «Suo padre ci divise, ma io le dedicai “Trieste mia”». L’ultimo romantico incontro
Di Gabriella Ziani
Teddy Reno al ministero degli Esteri, durante la conferenza Stampa di presentazione ' Forza Canzone D' Italia - artisti e Melodie Italiane dall'Estero', oggi 11 luglio 2011 a Roma. .ANSA / Mario De Renzis
Teddy Reno al ministero degli Esteri, durante la conferenza Stampa di presentazione ' Forza Canzone D' Italia - artisti e Melodie Italiane dall'Estero', oggi 11 luglio 2011 a Roma. .ANSA / Mario De Renzis

Lei, da qualche giorno, non c’è più. Ma lui, adesso, vuol raccontare quel primo amore “che non si scorda mai”, un amore infelice, vissuto a distanza, dalle cui lacrime di nostalgia sono nate anche canzoni famose e una carriera che forse sarebbe stata diversa se il papà dell’innamorata avesse detto “sì” alle nozze quando la coppia era diciottenne. Teddy Reno ricorda Anna Maria Zorzini, detta Mariuccia, che poi sposò Gianni Belrosso, noto presidente della Triestina calcio, morta qualche giorno fa.

«Il mio - dice - è un tributo postumo a questa compagna di classe del ginnasio e del primo anno di liceo al Dante. Era nato fra noi un vero amore, avevamo 14-16 anni». Ma il giovane che ancora si chiamava Ferruccio dopo le leggi razziali fu costretto a lasciare città, scuola e fidanzata («mia madre era ebrea, mio padre era il direttore della Arrigoni di cui era proprietario mio zio materno Giorgio Sanguinetti»). La famiglia scappò a Cesena. I due ragazzi continuarono a sentirsi al telefono. Fu appena dopo la fine della guerra che il giovane tornò a casa, ad abitare tra via Carducci e via Muratti. «Rividi una sera Mariuccia al Teatro Verdi - ricorda Teddy Reno - e il nostro amore ricominciò, anche se il padre di lei, un professore di matematica che aveva anche una ditta di import-export proprio in via Carducci, si mostrava piuttosto freddo. Quando chiesi la mano di sua figlia, mi rispose: “Non darei mia figlia a un giapponese, figuriamoci a te che sei ebreo. E poi non potresti mantenerla neanche per un giorno al livello di vita cui è abituata”. Figuriamoci. La mia famiglia stava molto bene. Ci rimasi malissimo. Quel padre si era troppo attaccato alla figlia dopo la morte della moglie, odiava chi voleva portargliela via... Così io e Mariuccia entrammo in clandestinità. L’andavo a trovare in via Commerciale, di nascosto. Un giorno però suo padre mi sorprese. In salotto, davanti a un caffè. Niente di male. Ma mi prese “per il cupìn” e mi buttò letteralmente fuori a calci nel sedere. Ero tristissimo, ero ferito».

Ferruccio scese lentamente verso città, «sconsolato». Arrivò sulle Rive, all’Hotel de la Ville, base del Governo militare alleato. Da quelle finestre usciva musica, “Stardust”, Polvere di stelle. «Per fare un po’ di soldi, per sposare Mariuccia - rammenta il cantante - io già cantavo la sera, ero diventato segretario del colonnello Jakobson responsabile a Trieste del settore mass-media, che mi aveva fatto entrare a Radio Trieste, dove avevo conosciuto Lelio Luttazzi. Chi cantava “Polvere di stelle”? Proprio Lelio. Nel novembre 1947, infelice com’ero, gli proposi di venire con me a Milano in cerca di fortuna. Infine accettò, e così nacquero la Cgd, i dischi, le canzoni, il sogno. Nell’aprile del 1948 una delle mie prime canzoni, “Trieste mia”. Ma il testo che dice “Co’ son lontan de ti Trieste mia, me sento un gran dolor, un gran dolor...” era un messaggio per Mariuccia. E anche “Muleta mia” cantata da Luttazzi era sempre dedicata al mio amore perduto. Non ci siamo più visti. Molti anni dopo, già famoso, chiesi in giro e seppi che Mariuccia aveva sposato Gianni Belrosso. Che lavorava nell’import-export di papà, che forse aveva favorito quel matrimonio... Le mandai gli auguri: “Cerca di essere felice almeno tu”». Si sposò anche Teddy, una prima volta, e poi con Rita Pavone, «da 45 anni».

Ma la storia ha un epilogo romantico. Lo scorso luglio Teddy Reno è tornato a Trieste, al Verdi per il “Concerto delle stelle” (raccolta fondi per l’Urania carsica di Margherita Hack). «Sapevo che Mariuccia abitava in via Donota, chiesi conferma lì vicino, mi dissero ch’era molto malata. Ma suonai il campanello. Al citofono, alla signora che l’assisteva, dissi la verità: “Sono stato il primo amore”. Mi fece salire, ci siamo rivisti. Dopo 70 anni. Tanta commozione, tanti ricordi. Era sempre venuta a sentire di nascosto i miei concerti a Trieste: sapeva che “lontan de ti” e “te voio ben” erano parole per lei. Ci lasciammo promettendoci la prossima volta di andare a pranzo. Quando mi hanno telefonato dicendomi ch’era morta sono rimasto molto scosso. Per lei, per questo amore platonico, ho lavorato, per lei sono diventato cantante, lei ha segnato tutta la mia giovinezza».

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