Lo studio della Regione assolve la centrale A2A

Le colpe ricadono tutte sul traffico veicolare e gli impianti di riscaldamento: «Nessuna correlazione fra tumori, ambiente e fonti industriali del territorio»
La centrale termoelettrica A2A di Monfalcone (Foto Bonaventura)
La centrale termoelettrica A2A di Monfalcone (Foto Bonaventura)

MONFALCONE Tutta colpa dell’inquinamento del traffico e in parte delle emissioni del riscaldamento domestico. Industrie di Monfalcone e centrale A2A legate a possibili aumenti delle patologie tumorali? Le conclusioni dell’indagine epidemiologica ambientale nell’area monfalconese, che stava suscitando tanta aspettativa, non lasciano incertezze: «L’attribuzione della quota di inquinanti alle varie sorgenti emissive non ha fornito evidenza per attribuire un significativo effetto sulla diffusione dei tumori alle emissioni della centrale A2A o quelle di altri fonti industriali presenti nel territorio».

Quattro come è noto i “macroinquinanti” considerati dall’indagine: benzene, Pm10, biossido di azoto e biossido di zolfo. Ed ecco chi è il colpevole. Questi macroinquinanti «indicano il traffico veicolare come responsabile di buona parte degli inquinanti presenti in atmosfera. E ciò genera l’ipotesi che il traffico abbia un ruolo preminente tra i rischi ambientali che possono aver generato l’eccesso di 30 tumori della vescica nelle donne del monfalconese tra il 1995 e il 2009». Eccessi «non statisticamente significativi» anche per i bambini con 5 casi di tumore in 15 anni.

Diego Serraino, referente dell’indagine, del Centro di riferimento oncologico di Aviano a cui ha partecipato (ed era tra i presenti) tra gli altri Fabio Barbone docente all’Università di Udine e Trieste (e autore della precedente ricerca sui tumori delle donne) non lascia molti dubbi: «Il 60% del benzene misurato nel monfalconese deriva dal traffico. A2A non produce benzene, anche le Pm10 le produce il traffico veicolare, quelle che arrivano da A2A rappresentano il 3-5%».

Un’assoluzione dunque per la centrale elettrica A2A se si guarda a questi parametri e a questi inquinanti. Lo ha ammesso la stessa assessore regionale all’Ambiente Sara Vito che ha presentato in pompa magna, in anteprima alla stampa, l’indagine epidemiologica affiancata dall’assessore regionale alla Sanità Maria Sandra Telesca, dal sindaco Silvia Altran e dall’assessore provinciale all’ambiente Mara Cernic. «Non sarà certo un chiavistello utile per rimettere in discussione l’Autorizzazione integrata ambientale della centrale». E dopo quasi due ore di discussione e presentazione di dati e cifre che smontavano qualsiasi giallo o timore per la salute, rispetto la presenza di industrie o della centrale, sono rimaste solo domande. Una su tutte: ma allora su che basi Regione, Comune e Provincia intendono mettere in discussione l’Aia? E perché tutto questo caos e la campagna contro la centrale A2A con tanto di chiamata a raccolta di popolazione, politici, comitati di rione e ambientalisti al Kinemax dove è stata dichiarata la guerra al carbone?

I tanti dubbi ieri sono rimasti anche di fronte a un lavoro scientifico certamente straordinario, unico nel suo genere e «gigantesco» come l’ha definito lo stesso direttore dell’Arpa Luca Marchesi. Per la prima volta infatti un’indagine georeferenziata (l’area monfalconese è stata divisa in 2mila 372 cellette da 400x400 metri) ha messo in relazione l’insorgenza dei tumori con i dati di inquinamento ambientale. «L’aria di Monfalcone con la presenza dei 4 macroinquinanti ha provocato gli stessi effetti sull’insorgenza dei tumori qui come a Pordenone o in altre realtà» ha considerato Serraino. Ovviamente con la stessa “pressione inquinante” dei traffico veicolare. Conclusioni sintetiche che comunque, unite alla lettura dei modelli di riferimento su cui si è basata l’indagine, non hanno dissipato i timori, anzi. Anche perché, lo spiega l’analisi, si tratta di un’indagine su tumori e ambiente «relativi al periodo tra il 1995 e il 2009». Una ricerca effettuata incrociando le “serie storiche dei dati ambientali Arpa con i dati dei registri delle patologie della popolazione”.

In realtà ad essere preso ad esempio è stato il 1998 e sia Serraino che Marchesi hanno avvertito: «Il manifestarsi di certe patologie richiede come è noto lunghi tempi di latenza». È emerso con chiarezza che gli «effetti dell’inquinamento di adesso si vedranno nelle patologie fra decine di anni». E perché ci si è basati soltanto su questi 4 inquinanti e non ad esempio su i metalli pesanti sui quali, in molti, puntano il dito come possibili elementi di rischio e provenienti dalle emissioni del carbone? Perché, lo hanno spiegato alla fine Barbone e Serraino, le misurazioni scientifiche di questi elementi sono iniziate soprattutto nel 2013 e 2014, e ci sarà presto un nuovo studio. Ma ci sono «troppi pochi anni» da esaminare, servono dati significativi. Un’indagine epidemiologica che dimostri gli effetti sulla salute si potrà fare tra decenni.

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