Lo stress cala se ti cali in una grotta

l lavoro di ricerca della biologa triestina Elisabetta Stenner sugli speleologi sottoposti a grandi fatiche

TRIESTE Cosa ci succede quando mettiamo alla prova il nostro corpo in situazioni di fatica estrema? Come cambia la nostra biologia in base all’ambiente? L’abbiamo chiesto alla triestina Elisabetta Stenner, dirigente biologo, specialista in Biochimica Clinica, impegnata presso il settore Chimica Clinica-Immunometria dell'Ospedale Maggiore e urgenza di Cattinara e autrice di una curiosa ricerca in ambito speleologico.

«Nel mio lavoro, se c'è l'interesse, la ricerca è una condizione continua, in particolare quando si ha il privilegio di poter collaborare con le altre unità operative ospedaliere cito per esempio il Dipartimento Cardiovascolare diretto dal professor Gianfranco Sinagra e la ricerca in ambiente ipogeo estremo di cui stiamo parlando, totalmente finanziata dalla Commissione Grotte Boegan, è stata supportata dal Laboratorio nel quale adesso lavoro grazie alla collaborazione col primario del tempo Biasioli, nonchè grazie alla fondamentale collaborazione con Giorgio Delbello e Fulvio Bratina dell'Università degli Studi di Trieste».

Com’è nato questo suo interesse verso la reazione del corpo in situazioni estreme?

«Un giorno in grotta, mentre risalivo in corda dal fondo dell'Abisso Gortani a -700m, in occasione delle esplorazioni del sifone terminale di Spartaco Savio, molto concentrata perché per me all'epoca era una delle prime discese serie, prestai attenzione alle sensazioni del mio corpo esausto e nonostante questo al benessere che provavo. Capii che la cosa che più volevo era indagare cosa accadeva al nostro organismo in quelle situazioni. A differenza dell'esterno, in grotta non si ha scelta, si deve uscire e non ci si può fermare per riposarsi: fa troppo freddo e sei bagnato, per cui accedi a delle riserve psicologiche e metaboliche che ti permettono di fare cose sconosciute perfino a te stesso».

Com’è stata condotta la ricerca sul gruppo di speleologi volontari?

«Non lavoravo ancora all'Aouts quindi contattai il Laboratorio diretto da Bruno Biasioli e gli proposi di collaborare a questo studio. La sperimentazione prevedeva un prelievo la mattina prima di partire, uno sul fondo della cavità, a 7 ore dall’ingresso, allo speleo subacqueo anche dopo l'immersione, all'uscita dalla grotta 18 ore dopo ed il giorno seguente. I campioni furono portati a valle direttamente in elicottero e quindi subito all'ospedale dove mi aspettava il tecnico dell'ematologia Giuliano Perossa. Una buona sperimentazione necessita un assoluto rigore delle componenti pre-analitiche sennò poi i risultati non sono interpretabili correttamente».

Cosa ha scoperto?

«Il parametro che più ci ha sorpreso è stato il cortisolo, l'ormone dello stress. Durante la permanenza ipogea il cortisolo diminuisce fino a scendere sotto i livelli basali il giorno seguente. Il benessere di cui le parlavo, tra l'altro descritto da tutti i soggetti, specie la mattina seguente, sembra proprio essere descritto dall'andamento di questo ormone».

Oltre alla speleologia, ha indagato le reazioni del corpo anche in situazioni di sport estremo?

«Non ancora, ma sempre in questo senso abbiamo fatto di recente una sperimentazione nelle grotte di Sciacca. I dati li stiamo ancora analizzando e probabilmente li completeremo nelle prossime spedizioni. Nel frattempo sono stata invitata dall'Aeronautica e Aerospaziale Militare a parlare al Congresso che si tiene all'Expo Milano 2015 di Alimentazione in Grotta, altro argomento che adoro e che è strettamente correlato alla biochimica».

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