Lo spot tedesco anti-Covid è fatto bene, ma ti frega

Noi pubblicitari sappiamo come rendere seducente e desiderabile, un prodotto. O un concetto. Se però la campagna seduce con una buona idea e un’execution altrettanto buona veicolando concetti fuorvianti e utilizzando un linguaggio improprio, allora lo considero un lavoro non solo non buono, ma anche fraudolento e dannoso.

TRIESTE Finora non ho espresso, mai, nessuna opinione sul Covid, perché sono cosciente che è un tema che divide, che mette tutti contro tutti ed è proprio il contrario di quello che, secondo me, serve a noi umani. In questo momento di emergenza sanitaria, e in generale nella vita.

Ma ora, dopo aver visto lo spot tedesco contro il Covid, celebrato da tv, siti e social, qualcosa la voglio dire. Come essere umano e come pubblicitario.

Il linguaggio sviluppa il pensiero, ed è l’ABC della pedagogia. Ci insegna che ciò che pensiamo nasce dalle parole che usiamo, e che questi pensieri a loro volta diventano opinioni, visioni del mondo e identità.

Faccio un esempio.

Marco sei cattivo, se non presti la macchinina a Michele fili in camera tua senza mangiare la torta. Vs: Marco, guarda come è contento Michele di giocare con la macchinina che gli hai prestato!

Il rinforzo positivo valorizza il comportamento costruttivo del bambino che si sentirà visto, riconosciuto e apprezzato, e si sentirà così bene che avrà voglia di ripetere l’esperienza.



Quindi, hai voglia se non c’è responsabilità, nell’uso del linguaggio. E hai voglia se non è una sliding door che crea mondi e porta di qua o di là, il linguaggio.

Noi pubblicitari sappiamo come rendere seducente e desiderabile, un prodotto. O un concetto. Come diceva Pirella, la pubblicità non fa vendere. Fa comprare. Cioè genera un’emozione (desiderio, adesione, aspirazione) che genera un comportamento (acquisto, engagement).

Se però la campagna seduce con una buona idea e un’execution altrettanto buona veicolando concetti fuorvianti e utilizzando un linguaggio improprio, allora lo considero un lavoro non solo non buono, ma anche fraudolento e dannoso.



Venendo quindi al benedetto spot tedesco, e sapendo che mi attirerò le ire di quei colleghi che l’hanno trovato geniale, vi dico che lo considero grave. Gravissimo. Per tre ragioni:

1) Usa il linguaggio bellico. No, no, non venitemi a dire che in questo spot la guerra è una metafora usata in modo ironico per sedurre e convincere. La faccenda è più profonda. Si presenta come un finto/vero documentario sui reduci di guerra dando ormai per scontato, come fanno molti organi di informazione, che siamo appunto in guerra. Ma il Covid non è un nemico da combattere. I medici non sono soldati al fronte. I vaccini non sono armi. Non siamo in guerra, siamo in una pandemia. Assecondare l’uso di termini impropri che creano immagini distorte della realtà, non è etico.

2) È vecchio. Vecchio in termini di pensiero e in termini di coscienza. Utilizzando il registro bellico continua a proporre un linguaggio – e quindi un pensiero – da discarica antropologica, intossicandoci con la più becera cultura patriarcale. La guerra è divisione, mette uno contro l’altro. Fa pensare che noi siamo i buoni e gli altri i cattivi. Cerca i colpevoli, alimenta l’odio. Rimane bassa, gretta, opaca. E fa vibrare le cellule degli umani di un’energia altrettanto bassa, gretta, opaca. Vecchia. Non vedo controindicazioni nell’andare verso il nuovo, l’inedito, il più alto. Noi pubblicitari in particolare, quando pensiamo a uno spot, e noi umani in generale quando pensiamo all’esistenza.

3) Nobilita comportamenti tossici. È ovvio che capisco il meccanismo creativo che ha portato a scrivere così la sceneggiatura, la storia infatti sta perfettamente in piedi. Io contesto i contenuti proposti. Qua sei un eroe perché ti rotoli sul divano come un pitone gigante, mangiando patatine. Qua divanarsi diventa uno status, un valore, una cosa buona e giusta che sdogana lo stato larvale. È degradante e brutto da vedere. Come se il tempo speso a casa non potesse essere di qualità, come se per difendersi dalla malattia bisognasse vibrare basso.

Insomma, il linguaggio sviluppa il pensiero. Il pensiero crea comportamenti. E allora pensiamo in grande e facciamo cose che vadano in una direzione forte e potente. Quindi in una direzione di amore, non di guerra.

Cerchiamo parole, immagini, metafore che creino bellezza, che ci facciano vibrare alto, che favoriscano lo scambio umano, che attivino collaborazione, solidarietà, che sappiano nutrire toccando corde più sottili, più alte, più umane. Ne abbiamo bisogno come il pane. —

*creativo pubblicitario

consulente sul bran
 

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