Lo spedizioniere, la mamma, il salesiano. Gli abbracci negati alle vittime del Covid in Fvg

Don Sossa, esule istriano, si è ammalato in un paese vicino a Biella. Lucia Argenti è morta invece dopo il rientro a Trieste dall’Australia  

TRIESTE L’assenza di un abbraccio nel momento in cui si prova più paura. La tristezza di un addio frettoloso dato al telefono, per i più fortunati in videochiamata con i parenti a casa. L’impossibilità di ricevere il saluto, seppur postumo, di amici e familiari in un funerale “come si deve”. Sono tratti che accomunano le morti della maggior parte delle vittime provocate dal coronavirus in regione. Ecco il ricordo di alcune di loro.

Il religioso

Da Matterada, tra Buie e Umago, fino a Vigliano, in provincia di Biella. Lì è morto nei giorni scorsi per Covid-19 don Albino Sossa, 86 anni, esule istriano. Dopo la fuga dal paese d’origine, era approdato in Piemonte, deciso a dedicare la propria vita alla religione. Così al termine degli studi dai Salesiani, fu ordinato sacerdote a Bollengo (Torino) il 25 marzo 1961. In seguito è stato insegnante e direttore di oratorio in diverse case salesiane del novarese. Dal 1989 al 1993 è stato missionario a Ondo in Nigeria. Rientrato in Italia, don Albino si era stabilito a Vigliano Biellese dove ha operato in qualità di vicario parrocchiale e svolto altri incarichi pastorali, dedicandosi ai giovani con autentico spirito salesiano. «Se n’è andato proprio nel cinquantanovesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale (il 25 marzo, ndr) - ricorda da Trieste il cugino Piero Delbello –. Veniva spesso da noi e non perdeva l’occasione per tornare a vedere i luoghi dell’infanzia nella sua amata Istria. Rimarrà per tutti noi parenti il rammarico di non essergli stati vicini nel triste momento della fine». I funerali, infatti, si sono svolti in forma strettamente privata a Torino, in ottemperanza alle disposizioni ministeriali e della curia vescovile. La salma è stata traslata momentaneamente nella tomba dei salesiani di Muzzano, sempre nel biellese, per poi essere tumulata nel cimitero di Sant’Anna a Trieste nella tomba dei confratelli salesiani. Solamente in un secondo momento verranno comunicate data e modalità delle esequie. La sua morte ha colpito molto la comunità di Vigliano. Tra l’altro anche il parroco del paese e altri salesiani sono ricoverati all’ospedale di Biella sempre a causa del Coronavirus.

L’instancabile viaggiatrice

A 90 anni guidava ancora l’automobile e, fino a poco tempo fa, girava il mondo da sola. Amava la compagnia Lida Dudine Battigelli, esule istriana che faceva la casalinga e che, «quasi per nemesi», come sottolinea il figlio Vitaliano Battigelli, «è morta in una Rsa qualche giorno fa da sola». Una morte in solitaria come purtroppo sta capitando a tutte le persone decedute per Covid-19. «Mia madre, sempre attiva, aperta mentalmente, più lucida di me per la memoria antica e recente, la portavo a pranzo spesso – prosegue il figlio, medico di Medicina generale -. Proprio durante un’uscita, un giorno, ho visto che non stava bene, l’ho fatta ricoverare in ospedale. Ripresasi, è uscita ed è stata inserita in una Rsa per la riabilitazione, ma qui è venuta a mancare». Stando agli avvenimenti riportati cronologicamente da Battigelli, a fine febbraio, nella Rsa in cui si trovava la madre, erano stati segnalati degli episodi di contagio da coronavirus, provenienti dall’ospedale. «Questo fatto non era stato segnalato né dall’Azienda sanitaria, che ne era a conoscenza, né dai referenti della Rsa, che non avevano avvisato né parentela né medici curanti – specifica -. Quindi nella Rsa diversi pazienti si sono ammalati e alcuni sono morti. Io sono venuto a conoscenza della situazione da parte di persone terze due settimane fa. Telefono allora alla Rsa e, in qualità di medico e figlio, chiedo di accedere alla struttura, ma la richiesta mi viene negata. Scopro inoltre che la terapia in corso a questi pazienti infetti non era corretta». Passano cinque giorni, Battigelli spera che le cose si calmino, «sto fermo, ma non ricevo più notizie – afferma -. Il quinto giorno mi chiama il medico operativo della Rsa, dicendomi che mia madre era morta di polmonite. Mia madre era andata lì per curarsi e invece è stata lasciata a letto come se fosse destinata a quello che poi è avvenuto. Una polmonite improvvisa in un anziano non può capitare. C’è stata una grave omissione, bisognava che noi parenti venissimo avvisati quando è scattata l’epidemia e informati sul fatto che non c’erano fisioterapisti, perché tutti contagiati, e che, su quattro medici, per lo stesso motivo, ne era rimasto uno solo».

il giornalista sportivo

Mezzo secolo vissuto nel mondo dei cavalli, girando negli ippodromi di tutta Europa, ma conservando sempre un legame speciale con quello triestino di Montebello, che ha frequentato fino a quando ha potuto, prima di arrendersi all’avanzare dell’età. Il coronavirus si è portato via una delle firme storiche del giornalismo sportivo, e dell’ippica in particolare: Giorgio Mihalic, classe ’39, fondatore di una delle testate più seguite del trotto nazionale e internazionale, “Dati statistici”, mensile fondato nel 1975 e diventato ben presto strumento di lavoro per tutti coloro che amano questa disciplina sportiva. Al suo interno era infatti possibile trovare tutti i dati relativi alle corse, ai record, sia nazionali sia internazionali, alle genealogie e al mondo degli stalloni e delle aste. Distribuito in una quindicina di Paesi nei quali il trotto gode di una grande tradizione, dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Germania ai Paesi nordici, “Dati statistici” era diventato un piccolo “cult”. Non a caso fra i colleghi era considerato l’ambasciatore del trotto internazionale. Fin dagli anni ’60 Mihalic ha collaborato con molte testate giornalistiche'60. Fra le sue passioni, la raccolta completa dei film delle corse, corredata da ottimi commenti, punto di riferimento sia per gli appassionati sia per gli addetti ai lavori.

lo spedizioniere

Si sono salutati con un sorriso a distanza Tullio Glavina e la moglie Claudia. Grazie a una video chiamata realizzata con lo smartphone di una delle dottoresse del reparto di terapia intensiva dell’ospedale Maggiore. Lì Glavina era arrivato 15 giorni prima da Cattinara, dove era entrato per motivi non legati al Covid-19. «Hanno deciso di mandarlo al Maggiore – ricorda il figlio Andrea assieme alla nuora Iris Galante – perché, ci hanno detto dicono, a Cattinara è più esposto al virus. Poi abbiamo visto com'è andata a finire». Glavina, per più di 30 anni attivo come spedizioniere doganale, era già sofferente di altre patologie: era cardiopatico e aveva dei problemi pregressi ai polmoni. Ciononostante, al momento del suo arrivo all'ospedale di Cattinara, era ancora negativo al Covid19. A distanza di un paio di giorni, però, nel reparto di geriatria del Maggiore viene sottoposto a un nuovo tampone al quale questa volta risulta positivo. «A quel punto inizia il suo calvario – raccontano ancora figlio e nuora di Tullio Glavina –: dieci lunghi giorni di agonia, con lui che viene ricoverato in terapia intensiva e noi che non potevamo recarci a visitarlo». Uno strazio conclusi nella notte fra il 27 e il 28 marzo scorso con la morte dell’uomo. Prima dell’ultimo respiro, però, l'idea di una dottoressa del reparto per un ultimo saluto. «Quando ormai era chiaro dove si andava a parare – racconta ancora la nuora Iris – la dottoressa Federica Gheller, che ringraziamo, ha organizzato una video chiamata per mettere in contatto la moglie Claudia al marito. Dopo 57 anni di matrimonio voleva in qualche modo riuscire a salutarlo prima che se ne andasse, e così è stato». Pur essendo in stato di torpore, Tullio riesce a riconoscere la moglie e a rispondere al saluto di lei con un sorriso, sotto la mascherina per l'ossigeno. Il momento più dolce prima dell’addio.

l’operatrice sanitaria

È stata una vita intensa quella di Lucia Argenti, vedova lukan. Nata a Capodistria nel 1934, fu costretta a scappare ancora giovanissima dagli orrori dalla guerra. Fuggì così alla volta della lontana Australia, paese nel quale rimase per molti anni, affrontando mille difficoltà. Tornata a Trieste, si rifece nuovamente e coraggiosamente una vita, creando una famiglia protetta dal calore della casa, contribuendo al bilancio familiare grazie all’impiego nell’ospedale psichiatrico di San Giovanni, al quale fece poi seguito l’attività come assistente agli anziani, in cui mise a frutto l’esperienza accumulata nel nosocomio. Maturata la pensione, Lucia Argenti aveva scelto Grado come meta preferita, trascorrendo nella roulotte sistemata sulla spiaggia di Punta Spin, l’intera stagione estiva. Chiunque abbia avuto rapporti professionali con lei, la ricorda come una persona forte piena di vita, nonostante alcuni problemi di salute. Argenti infatti dovette sottoporsi nel tempo a ben tre interventi chirurgici per problemi all’apparato digerente, tutti superati con lo spirito che ne ha contraddistinto l’intera esistenza. Purtroppo l’ultima dura prova, quella costituita dall’infezione da coronavirus, l’ha trovata già indebolita dalle fatiche della vita e dall’avanzare dell’età. Lascia i tre figli, Eddy, Mauro e Gianni. —

(testi raccolti da Roberto Degrassi, Benedetta Moro e Ugo Salvini)
 

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