Lo psicologo dell’emergenza: «Comunità fra panico e rabbia: il trauma ora va affrontato»
L’INTERVISTA
Una bambina dai capelli scuri si avvicina al portone della Questura di Trieste, assieme al proprio padre. L’uomo tiene in mano una rosa bianca. «Papà, posso appoggiarla io?», chiede la piccola, di fronte all’onda di fiori, candele, disegni e messaggi di cordoglio che in questi giorni molte persone hanno voluto lasciare in omaggio ai due agenti della Polizia di Stato, Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, uccisi venerdì scorso.
Dopo quanto successo, si è comprensibilmente diffuso uno sconvolgimento emotivo in buona parte della comunità triestina, bambini compresi. Lo sa bene Livio Zanello, psicologo e psicoterapeuta, esperto di psicologia dell’emergenza, che ha firmato in questi giorni una lettera indirizzata al sindaco Roberto Dipiazza a cui propone, a nome della Sipem Sos (Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza Social Support Federazione), di realizzare uno sportello di ascolto, temporaneo e specifico, per i cittadini che sentono la necessità di rielaborare i fatti.
Zanello, di fronte a un evento di questa portata, come può e deve reagire la città?
La collettività non deve spaventarsi delle reazioni emotive provate come la paura, il panico, la rabbia, la “paralisi” emotiva e lo choc, che in emergenza sono considerate normali in quanto seguono un evento che è anormale e improvviso. Data la sua portata, è giusto parlarne anche con i bambini, purché con un linguaggio adatto a loro. Se le reazioni delle persone non rientrano nei limiti di tempo considerati fisiologici, di tre o sei mesi al massimo, è opportuno rivolgersi ai professionisti. Il rischio è che si generino disturbi emotivi, del pensiero e del sonno e possano condizionare la vita di tutti i giorni, incidendo sulla salute, sull’umore e sulle relazioni.
Le vittime sono i due agenti uccisi. Come si definiscono le altre persone coinvolte?
Nella psicologia dell’emergenza, esistono sei tipi di vittime. I poliziotti che hanno perso la vita sono “le vittime” nel linguaggio comune ma nel linguaggio tecnico i sopravvissuti, come il collega ferito, rappresentano le vittime del primo tipo. Le vittime del secondo tipo sono invece i familiari e le persone care delle persone ferite o defunte, mentre quelle del terzo tipo sono i soccorritori. La comunità coinvolta nel disastro è vittima del quarto tipo; del quinto fanno parte gli individui con un equilibrio psichico fragile, che ne risentono di più, anche se non sono coinvolti direttamente. Infine, le vittime del sesto tipo sono le persone che per un diverso concorso di circostanze avrebbero potuto essere coinvolte direttamente.
Quali procedure si attivano dal punto di vista psicologico per normalizzare questa situazione?
Compito dello psicologo è ricondurre le persone, individui o comunità, ad attraversare il trauma, cioè l’impatto emotivo più o meno violento subito, fino a riprendere una percezione di normalità. Nell’immediato lo strumento migliore è il defusing (disinnesco, ndr), una tecnica di gruppo o individuale che consiste nel far emergere attraverso il racconto le emozioni che si sono attivate durante l’evento. In seguito, sempre in gruppo, è possibile utilizzare un’altra tecnica, il debriefing (esposizione, ndr) che implica il ricostruire a distanza l’evento in tutte le sue sfaccettature, oggettive ed emotive.
Come portavoce del Sipem Sos Lombardia, ha proposto al sindaco di Trieste uno sportello di supporto psicologico per la cittadinanza, a titolo gratuito. Di cosa si tratta?
L’obiettivo è quello di informare, alleviare eventuali sofferenze dei testimoni diretti e indiretti e dare gli opportuni consigli. Il miglior risultato si ottiene con un intervento nell’immediatezza dell’evento o a breve distanza temporale. A fianco all’idea dello sportello, noi del Sipem abbiamo pensato a un incontro pubblico con la popolazione per informare e prevenire contraccolpi psicologici. –
Riproduzione riservata © Il Piccolo