L'Italicum in FVG: collegi bocciati pure dagli ex parlamentari
TRIESTE. Così com’è non funziona, tutti d’accordo. Ma altre soluzioni, viste le regole dell’Italicum, non se ne vedono. Gli ex parlamentari del Friuli Venezia Giulia - triestini, friulani o della minoranza slovena - prendono atto che la divisione verticale della regione in due collegi era sostanzialmente inevitabile.
Un «pasticcio», esplicita più di tutti Ferruccio Saro, figlio del peccato originale: i paletti fissati dal nuovo sistema. Con l’aggiunta, in regione, della necessità di consentire agli sloveni una corsa almeno possibile. Vie d’uscita nessuna, in sostanza. Non con un parametro di partenza di 600mila abitanti per collegio (con deroghe fino al 20% in più o in meno). E non con l’obbligo di accorpare i 32 comuni della minoranza.
«Non se ne può uscire», dice Milos Budin. «La proposta del governo mi pare l’unica possibile», insiste l’ex senatore e deputato. «Certo – aggiunge – la questione rimane controversa e la legge partorita quest’anno non mi pare la più adatta all’attuale momento storico. Ma non possiamo fare altro che ragionare sullo schema di partenza e affidare la possibile elezione di un rappresentante della minoranza al confronto della politica».
Fosse per Ettore Romoli gli sloveni conterebbero su un seggio di diritto: «Sarebbe il modo più semplice per evitare il problema che si pone a ogni elezione. Nel 1994 si ritagliarono il famoso “collegio Bratina”, ma disgraziatamente per loro andò male dato che fui proprio io a venire eletto – ricorda il sindaco di Gorizia –. Alle successive politiche sono invece riusciti a conquistare un posto o a Palazzo Madama o a Montecitorio. Mi domando spesso se non sia il caso di risolvere il caso alla radice. Anche per avere poi la liberà di disegnare collegi più razionali di quelli che sono emersi con l’Italicum».
Budin, al contrario, di seggi garantiti non vuole sentir parlare. «È giusto che la minoranza slovena abbia la possibilità di avere una rappresentanza, ma appunto la rappresentanza deve essere di livello generale - osserva -. Favorire l’elezione di un esponente della comunità significa perciò nulla più che dare una chance sul piano politico. Ed è qui che serviranno l’impegno dei singoli come dei partiti».
A sospendere il giudizio è invece Roberto Antonione: «Sino a quando non ci sarà la riforma complessiva del Senato, l’Italicum resta una legge imperfetta al di là di come sono stati disegnati i collegi. Non vedo dunque troppo altro che un cantiere aperto». Dopo di che, aggiunge l’ex pidiellino di Trieste, «premesso che quello dei sistemi elettorali è argomento che non mi ha mai appassionato più di tanto, non condivido le preoccupazioni di questo o quel territorio, tanto meno del capoluogo regionale: alla fine le cose si misurano non nella quantità ma nella qualità».
Saro, infine, non si sorprende dello scontento diffuso, non solo di quello friulano per la provincia spaccata in due. «Si è cercato di tutelare gli sloveni - osserva - ma se il centrosinistra perde gli sloveni staranno fuori: un paradosso. Ma si apre anche la strada a un blocco elettorale tra Gorizia e Cividale che può ridurre non poco lo spazio d’elezione per i candidati triestini. Chi perde, a meno che non sia capolista, rischia grosso e non credo che eventuali correzioni dell’ultima ora possano cambiare granché le cose. La sola alternativa, ma è ormai troppo tardi, era prevedere un sistema elettorale diverso per il Fvg, come si è fatto per il Trentino Alto Adige».
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