L’Italia riapre il caso degli otto capolavori finiti a Belgrado
BELGRADO. Otto capolavori dell’arte figurativa del Medioevo e del Rinascimento italiano. Al centro, per la seconda volta, di quello che potrebbe trasformarsi in un complesso caso internazionale sull’asse tra Italia e Serbia.
La rivelazione è apparsa ieri sul quotidiano belgradese Vecernje Novosti, che in prima pagina ha titolato «Gli italiani rivogliono indietro i dipinti del Museo nazionale». Il riferimento è a otto tele di grande valore, tra cui un Tintoretto, un Tiziano, un Carpaccio e una Madonna con Bambino di Paolo Veneziano. Quadri, da quasi 70 anni custoditi al Museo nazionale di Belgrado, che sono oggetto di «una richiesta urgente di assistenza giudiziaria internazionale» della Procura di Bologna trasmessa al Tribunale superiore di Belgrado, ha scritto il quotidiano serbo. Richiesta, ha poi precisato l’agenzia stampa Tanjug, che ha come obiettivo il «sequestro temporaneo» delle otto opere «che la Serbia ottenne nel 1949» dagli americani «come riparazione di guerra», dopo che erano state «acquistate a caro prezzo e legalmente» nel 1941 per conto del Maresciallo del Reich Hermann Goering «dalla famiglia Contini-Bonacossi», a Firenze.
La conferma della richiesta dall’Italia è arrivata al Piccolo dallo stesso Tribunale serbo, che ha precisato che una istanza «del procuratore di Bologna è stata consegnata il 31 ottobre» alla Corte, tramite il ministero della Giustizia. Nessun altro dettaglio è per ora trapelato, ma il caso non è inedito. Quelle opere, hanno ricordato i media serbi, già nel 2015 erano state oggetto di una richiesta di sequestro con successiva rogatoria internazionale inviata da Bologna, respinta però nel 2016 dal Tribunale di Belgrado. Ai tempi, l’Ansa aveva informato che il caso era nato tra il 2004 e il 2005, quando le opere erano «tornate a casa» per un breve periodo, per una mostra a Bari e a Bologna, suscitando l’attenzione dei Carabinieri e dando poi il via a indagini con ipotesi di ricettazione.
Quale la ragione dell’interesse italiano per i dipinti? L’ipotesi è che i quadri siano finiti illecitamente fuori dall’Italia; e lì sarebbero dovuti tornare dopo il 1945. A fondamento di questa tesi, la posizione delle autorità italiane che dal 1950 - in base a una legge retroattiva che stabilisce nulle le compravendite durante la seconda guerra mondiale - «hanno iniziato a sostenere che il commercio legale con i nazisti dal 1936 al 1945» andava considerato come «saccheggio del patrimonio culturale italiano», non come normali compravendite, ha ricordato la Tanjug.
Rimane da vedere come si svilupperà la questione e quale risposta arriverà dalla Serbia. E se sarà simile a quella dell’anno scorso, quando la magistratura di Belgrado aveva ricordato che fino all’8 settembre Roma e Berlino erano alleate. E dunque le vendite, incluse quelle degli otto quadri, non sarebbero state coartate.
Ma come sono arrivati i dipinti nell’allora Jugoslavia? I quadri, dopo il 1945, erano finiti al “collecting point” di Monaco di Baviera, dove gli Alleati facevano confluire le opere d’arte trafugate dai nazisti. E da lì sono giunti a Belgrado «attraverso una truffa», spiega al Piccolo Alessandro Marzo Magno, scrittore e autore di Missione Grande Bellezza (Garzanti), un volume in cui ha toccato anche il tema dei dipinti contesi. E la figura di chi ce li ha portati.
Il personaggio-chiave si chiamava - forse, perché non è certo fosse il suo vero nome - “Ante Topic Mimara”, equivoco avventuriero in odore di spionaggio, che nel 1949 riuscì «a farsi consegnare dagli americani 160 oggetti d’arte che lui asseriva fossero stati predati dai nazisti in Jugoslavia», spiega Marzo Magno. «Peccato non fosse vero», aggiunge lo scrittore. E che gli americani se ne siano accorti troppo tardi, quando ormai le opere erano già partite da Monaco in direzione Jugoslavia. Tra di esse, c’erano anche gli «otto quadri di provenienza italiana, che i nazisti avevano saccheggiato in Italia, alcuni provenienti dalla collezione Contini-Bonacossi». Quadri che arrivarono poi «nel 1949 al museo di Belgrado e lì sono rimasti». Esposti nel grande edificio che si affaccia su Trg Republike, nel centro della capitale serba. E cuore di un vero giallo internazionale di cui ancora oggi non è stata scritta la fine.
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