L’Italia nella Via della Seta. Alla firma 15 accordi con Xi
ROMA L’ultimo ad essere accolto con altrettanta enfasi fu Barack Obama. Strade pattugliate, elicotteri in volo, città paralizzata. Da ieri a Roma c’è il nuovo padrone del mondo – o almeno quello che molti descrivono come tale – Xi Jinping. Sabato il presidente (a vita) della Repubblica popolare cinese sarà a Villa Madama per firmare con il governo l’accordo sulla Via della Seta. L’Italia è primo Paese del vecchio club del G7 a sottoscriverlo, e agli americani la cosa non garba. L’hanno fatto da tempo altri quattro partner dell’Unione (Polonia, Ungheria, Grecia e Portogallo) e tanto basta al governo per tirare dritto con il sostegno del Quirinale.
Washington è sempre più preoccupata per l’attivismo cinese nel mondo, ma l’approccio di Pechino altro non è che l’altra faccia della politica estera voluta da Donald Trump: se ciascuno pensa a firmare i patti più convenienti per sé, inutile lamentarsi delle scelte altrui. Il 28 e 29 marzo a Pechino atterreranno il segretario al Commercio e il ministro del Tesoro Steve Mnuchin per negoziare il raddoppio delle merci americane su suolo cinese. La fine del multilateralismo rischia di diventare un problema serio per l’Europa, che con Pechino dovrebbe firmare un accordo commerciale.
La questione – non a caso – ieri sera era all’ordine del giorno della cena dei Capi di Stato per decidere cosa fare della Brexit. Di fronte alla debolezza dell’esecutivo europeo in scadenza, il dossier l’ha preso in mano il presidente francese Emmanuel Macron, che martedì attende all’Eliseo proprio Xi. Anche stavolta Roma è tenuta fuori dal desco: all’appuntamento sono stati invitati la leader tedesca Angela Merkel e il numero uno della Commissione Jean-Claude Juncker, non il premier italiano.
Insieme all’accordo sulla Via della Seta a Villa Madama verranno firmati una quindicina di memorandum fra aziende italiane e cinesi. Dovevano essere di più ma la polemica attorno alla visita ha consigliato a molte aziende un surplus di prudenza. Snam, Fincantieri, Sace, Danieli, Eni, Bracco, l’immancabile Cassa depositi e prestiti. Il numero uno Fabrizio Palermo, che è anche co-presidente del «Business Forum Italia-China», firmerà un accordo per l’emissione di obbligazioni in renmimbi. Li hanno chiamati «Panda-bond», verranno offerti a investitori istituzionali cinesi e serviranno a sostenere la crescita delle imprese italiane già presenti nell’impero del Sol Levante.
Si dirà: niente meglio di questo può rassicurare chi teme l’opposto, ovvero la colonizzazione cinese dell’economia italiana. Eppure nell’Unione l’Italia è tuttora il quinto partner commerciale di Pechino dopo Germania, Gran Bretagna, Francia e Olanda. I soli tedeschi esportano verso la Cina più del triplo delle merci italiane. Più che gli accordi in sé, a preoccupare gli americani sono le ricadute geopolitiche di questi accordi. I cinesi ci mettono un tanto di provocazione: proprio ieri hanno annunciato in pompa magna l’apertura a Roma di una filiale di «Deep Blue Technology», colosso cinese per l’intelligenza artificiale. Dopo aver consigliato di modificare alcune parti dell’accordo, ieri Mattarella – che tratta l’atteggiamento americano al pari di un’ingerenza – ha rilasciato una lunga intervista ai media cinesi per raccomandare investimenti in infrastrutture ma anche «trasparenza». Pechino vuol tornare ad essere alla testa del mondo, come qualche secolo fa. La strada è lunga: ieri la nazionale del nuovo allenatore Fabio Cannavaro ha perso uno a zero con la modestissima Thailandia. —
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