Lista per Trieste, 40 anni fa la vittoria-terremoto alle comunali

TRIESTE Si chiamavano Manlio Cecovini, Gianni Giuricin, Letizia Fonda Savio, Gianfranco Gambassini, Aurelia Gruber Benco. E la loro Lista per Trieste, il 28 giugno 1978, alla fine dello spoglio delle elezioni comunali tenutesi domenica 25, uscì trionfalmente dalle urne sconfiggendo la Democrazia cristiana, fino a quel momento partito egemone di tutto il Dopoguerra. Esattamente 40 anni fa Trieste voltava pagina, spezzando liturgie consolidate e dando il via a un nuovo modo di fare politica che sarebbe esploso anni dopo con la Lega Nord di Umberto Bossi.
Tutto era iniziato con le 65 mila firma raccolte in città a partire dall’aprile del 1976 contro il progetto di costituire sul Carso, a cavallo del confine con l’allora Jugoslavia, una zona franca industriale fortemente “sponsorizzata” dalla Fiat di Gianni Agnelli. Doveva essere una finestra aperta sui due Paesi che a Osimo, l’11 novembre 1975, avevano firmato il Trattato che a trent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale aveva sancito l’assetto definitivo del confine tra i due Paesi. L’Istria era definitivamente perduta, e chi fino a quel momento aveva alimentato l’illusione che la Zona B avrebbe potuto ritornare sotto la bandiera italiana, dovette amaramente fare i conti con la realtà. Per gli esuli e le loro organizzazioni politiche blandite e vezzeggiate da anni e anni dai partiti di governo, il Trattato di Osimo rappresentò - oltre che uno choc - anche un tradimento.
Ma non basta. La vittoria alle elezioni aveva anche molti altri significati. I leader della Lista avevano intercettato e alimentato i sentimenti che da anni ribollivano nella società triestina: tra essi la stanchezza per l’invadenza dei partiti, la salvaguardia ambientale dell’altipiano carsico, l’avversione per la Jugoslavia, “rea” delle sparizioni e degli infoibamenti avvenuti durante l’occupazione del maggio 1945. A questo si affiancava il risentimento contro “Roma traditrice”, la sfiducia nei politici e nei partiti tradizionali, l’avversione per lo straniero balcanico, la volontà di cambiamento. In effetti quella della Lista vincitrice delle elezioni del 28 giugno 1978 era stata una lenta scalata al potere e alla vittoria; i primi passi erano stati mossi nel 1975 nel momento della pubblicazione del Trattato; poi, per più di due anni, una attenta regia aveva programmato ogni successiva mossa: marce ecologiche sul Carso, cortei per le vie cittadine, dibattiti, striscioni, coinvolgimento di associazioni politiche, culturali e sportive.
Dalla Lega Nazionale alle Sezioni del Club alpino, passando anche per la dissidenza interna ai partiti a cui invano tentarono di opporsi le segreterie. I vertici dei partiti tradizionali richiamarono alla “disciplina” molti iscritti: di fatto non furono ammessi dubbi, distinguo, obiezioni di coscienza. Furono sciolte segreterie di sindacati o disattivati interi gruppi dirigenti locali. Altri si dimisero, sbattendo la porta. «Tutti, ma proprio tutti gli errori che in politica si possono commettere - ha scritto anni fa il giornalista Fabio Amodeo - in quei giorni furono commessi. E nacque la Lista per Trieste».
Guido Botteri, all’epoca al vertice della sede triestina della Rai, era dello stesso parere. Nel suo volume “80 e mezzo”, uscito nel 2007, infatti scrive: «La Lista per Trieste ha trovato il terreno idoneo negli errori dei partiti e dello Stato italiano, per crescere e raggiungere le dimensioni di maggior forza politica in città. Ma si tratta di una risposta negativa, di chiusura, di angoscia del nuovo, di frustrazione». La “regia” che gestiva dietro le quinte il varo della nuova formazione politica poteva contare su un’approfondita conoscenza di ciò che ribolliva in città. Erano dati tanto riservati, quanto preziosi. Giorgio Irneri, “patron” del Lloyd Adriatico, aveva incaricato Pierpaolo Luzzato Fegiz, fondatore nel 1946 della Doxa, la prima agenzia italiana di ricerche statistiche e di mercato, di sondare le intenzioni di voto dei triestini. Emerse a chiare lettere che un consistente numero di elettori avrebbe detto “no” alla Zona industriale italo-jugoslava posta a cavallo del confine carsico. Irneri pagò la ricerca, informò i leader del nuovo movimento e la mise nel cassetto. Nel 1979 sarebbe stato candidato al Senato dalla Lista per Trieste trionfante. Ma Irneri non fu eletto.
Determinante per l’esito delle elezioni di 40 anni fa fu anche l’azione di Chino Alessi, allora direttore e proprietario de Il Piccolo. Senza l’appoggio del quotidiano che all’epoca vendeva ogni giorno tra le 60 e le 65 mila copie e che era pensato, realizzato e stampato nella sede di via Silvio Pellico, non si sarebbero mai raccolte le 65 mila firme contro il Trattato di Osimo e probabilmente non sarebbe nata la Lista per Trieste.
Ma ritorniamo alle elezioni del giugno del 1978: la Lista aveva ottenuto 52.661 voti, pari al 27,5% dei votanti e le erano stati attribuiti 18 seggi. La Dc aveva guadagnato 17 seggi e 49.790 voti, pari al 26%. Dimezzati il Partito socialista e il Movimento sociale, e raddoppio per i radicali con il 6% e tre consiglieri, tra cui Marco Pannella, che aveva compreso (esattamente come Giorgio Almirante) come sul consiglio comunale di Trieste e sul terremoto innescato dalla Lista fossero puntati i riflettori dell’informazione non solo italiana.
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