L’inverno russo gela l’export a Nordest

MILANO. È boom di vendite del made in Italy in Russia. E non è il merito, almeno non ancora, della recente vendemmia senza veli per la promozione a Mosca dei vini friuliani di Marco Felluga e Volpe Pasini. Perché il carrello della spesa russo torna sì a riempirsi di mozzarelle, robiole e grana padano, ma si tratta di formaggi tarocchi che di origine italiana hanno ben poco. Nelle pieghe della crisi della Federazione Russa sta trionfando, per l’ennesima volta, l’italian sounding, quell’industria internazionale dei furbetti dell’agro-alimentare che a suon di parmesani e mozzarello sfrutta il Made in Italy per vendere i propri prodotti. Lo certifica uno studio di Coldiretti che ha riscontrato nei supermercati russi impennate fino al 30% di scontrini di questo Made in Italy del falso. Ed è l’ultimo boccone amaro che deve mandare giù l’industria agro-alimentare italiana, tra le più colpite dal crollo del paese dagli undici fusi orari. A causa dell’embargo Ue sulla Russia, che in questi giorni è stato prolungato fino al 2016, e che ha scatenato la ripicca di Mosca con la restrizione alle importazione su molti prodotti europei, le nostre esportazioni di cibi e bevande sono precipitate del 53% nel primo semestre dell’anno. Il blocco russo comincia a far davvero male alla salute delle nostre aziende. E non solo dell’agro-alimentare.
Nel primo trimestre dell’anno l’export italiano appare di nuovo in forma, in crescita del 3,2%, con Veneto (+5,9%) e Friuli Venezia Giulia (+31,8 per cento, soprattutto per le megacommesse della cantieristica) in testa alla classifica. Ma molti altri settori, che arrancano sulla via della ripresa, si trovano azzoppati di quello sbocco di mercato russo che negli anni passati ha fatto incetta di prodotti Made in Italy. Secondo i dati della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo l’anno scorso abbiamo assistito una contrazione dell’11,6% (-1,25 miliardi di euro) delle esportazioni. E quest’anno sta andando ancora peggio. Per l’Italia, stando all’inchiesta condotta da giornalisti del Lena (Leading European Newspaper Alliance), si stima un buco di quasi 12 miliardi con 215 mila persone che resteranno senza lavoro. Nei primi 3 mesi del 2014, i nostri distretti manifatturieri macinavano ricavi per quasi 700 milioni di euro nella grande madre Russia.
Oggi il dato va ritoccato all’ingiù del 27% a 498 milioni. Per molti settori produttivi, dall’abbigliamento (la moda è crolla del 22%) al mobile (-7,4%) e all’agro-alimentare e le calzature, il niet di Mosca sta mettendo a rischio ogni sogno di ripresa. Nel suo complesso le vendite di beni italiani in Russia non superano il 3% del totale delle esportazioni. Tuttavia il calo del 10% di giro d’affari made in Italy registrato nel 2014 potrebbe essere solo l’inizio di un drastico ridimensionamento della presenza delle nostre aziende. Nei primi quattro mesi del 2015 la riduzione dell’export, comprendendo anche agricoltura e servizi, verso la Russia ha superato 900 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e proiettando questo trend negativo (-29,4%) sui dodici mesi, la voragine si amplierebbe a 2,8 miliardi, riportando di fatto le statistiche delle nostre vendite in Russia nel lontano 2009.
I due settori più colpiti sono quelli del tessile, abbigliamento e pelle (-16,4%) e degli apparecchi elettrici ed elettronici, macchinari meccanici e mezzi di trasporto (-13,7%). Secondo la Banca d’Italia la criticità nelle relazioni Ue-Russia potrebbe avere conseguenza ben peggiori per quanto riguarda l’importazione di energia.
Mosca detiene una quota di circa il 12 per cento dell’offerta mondiale. E provenivano dalla Russia circa il 18 per cento delle nostre importazioni di petrolio e il 45 di quelle di gas naturale.
L’intensificarsi della crisi ucraina, da cui passano i principali gasodotti, potrebbe portare a un inverno complicato per le nostre imprese con interruzioni delle forniture di gas e petrolio.
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