L'intervista a Scaglione: «È la Cina il bersaglio. L’Italia non rischia e Trieste con il suo porto sono usciti dai radar»
TRIESTE Dietro le esplosive dichiarazioni di Biden sul presidente Putin non c’è l’orso russo, ormai un po’ spelacchiato, ma il dragone cinese. È la Cina il grande rivale degli Usa e il vero obiettivo delle sparate di Biden. Ne è convinto Fulvio Scaglione, giornalista, già vicedirettore del settimanale “Famiglia Cristiana”, molto addentro alle questioni russe, essendo stato corrispondente da Mosca, da dove ha seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche. Scaglione cura un sito web, letteredamosca.eu, e ieri, appena appresa l’accusa lanciata da Biden a Putin («killer senz’anima»), ha twittato: «La geopolitica, le strategia, i think tank, ma non avete l’impressione che Biden si sia semplicemente rincitrullito?».
Scaglione, forse Biden perde colpi, ma non teme che con quelle parole possa scatenare una crisi internazionale travolgente?
«A parte che non si fa così, non si è mai visto un presidente che dice di un altro che è un assassino, quella di Biden è prima di tutto una grande gaffe. D’altronde se guardiamo la sua storia scopriamo che questa è solo l’ultima di una lunga serie di dichiarazioni avventate».
Questa gaffe, come dice lei, potrebbe produrre effetti a medio-lungo termine in Italia e in particolare sul confine orientale? Potrebbero profilarsi scenari nuovi?
«Per noi non cambierà nulla, la vera partita è tra Usa e Cina. È vero, il tavolo di gioco e la posta in palio è l’Europa, ma noi siamo solo spettatori. Agli Usa importa mantenere il rapporto con gli altri paesi del patto atlantico, e soprattutto che l’Europa non abbia un buon rapporto con la Russia o, peggio, con la Cina».
In questo senso due anni fa sembrava che la nuova Via della Seta cinese dovesse passare per Trieste. Poi quell’ipotesi si è raffreddata.
«Alla Cina premeva espandersi in Asia e in Africa e ci è riuscita, poi si è posta l’obiettivo di sbarcare in Europa; da qui l’importanza che Pechino attribuiva al porto di Trieste. Ma l’accordo tra il governo italiano e quello cinese era stato un salto in avanti agli occhi degli altri Paesi europei, tanto è vero che Francia e Germania si erano mosse di comune accordo. Quella strategia è stata stoppata dalla realpolitik. E ora a maggior ragione, visto che l’obiettivo degli Usa è riprendere il controllo dell’Europa, che è la chiave di tutto».
Continueremo ad essere solo spettatori.
«L’Italia potrebbe agire autonomamente se fosse un Paese con una propria politica estera e se avesse una solidità economica diversa. Non dimentichiamoci che Craxi e Andreotti avevano una politica estera, ricordiamo il caso Sigonella. E anche nei primi anni Sessanta, Mattei, Fanfani e Dossetti non avevano dubbi sull’appartenenza atlantica dell’Italia, che però doveva essere rispettosa dei nostri interessi nazionali».
Lei conosce bene lo scenario russo. È vero che Putin è in difficoltà?
«Putin perde consensi, il suo partito perde consensi. Navalny non è un avversario pericoloso, ma è un segnale importante che in Russia si sta producendo una divisione generazionale. Per questo quello di Biden è stato un errore clamoroso. Tutto ciò che solletica il nazionalismo è un regalo a Putin».
“America is back”, è stata la prima frase di Biden come presidente, l’America è tornata.
«Sì, ma per far che? Che cosa è stato fatto fino ad ora? La politica mediorientale è quella di Trump. Sì, gli Usa sono rientrati negli accordi di Parigi sul clima, ma non è questa grande svolta. Ecco che per uscire dall’immobilismo Biden ha bisogno di un nemico, e se la prende col più debole, che è la Russia. Però così facendo regala la Russia alla Cina». —
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