L’Inps apre la “caccia” ai certificati di malattia: a Trieste aziende a rischio salasso

Era già amara la vita dei piccoli imprenditori triestini. Adesso con la posta è arrivata a decine di aziende una nuova goccia di fiele. Il mittente è l’Inps, che dalla sua ha una inoppugnabile e sana ragione di fondo: verificare l’assenza di brogli ed errori. Solo che chiede alle aziende la prova dell’innocenza.
La sede triestina dell’istituto di previdenza, su impulso di quella nazionale, ha fatto un controllo a campione dei certificati di malattia, ma anche di maternità/paternità, del 2008, e ha scoperto «alcune anomalie» nelle denunce inviate dai titolari d’azienda per i propri dipendenti. C’era allora ancora il buon vecchio sistema cartaceo, e il lavoratore ammalato aveva obbligo di recapitare un certificato del medico al datore di lavoro, e un certificato corrispondente all’Inps. Adesso, dice l’Inps, se questo datore di lavoro non è in grado di dimostrare il possesso di ampia documentazione per il 2008 di tutti i suoi dipendenti assenti per malattia (oltre ai certificati anche buste paga, libri paga e matricola) dovrà rifondere all’Inps i soldi che l’istituto aveva “per quota” pagato a copertura del periodo. C’è chi si è visto avvertire: senza una risposta entro 15 giorni, «l’istituto sarà costretto ad addebitare l’intero importo conguagliato pari a 12.300 euro». Insomma, in assenza di prove,avrà ragione l’Inps. Chi vuol fare ricorso può agire solo on-line, munito del famoso “Pin” di riconoscimento. E chi non paga avrà l’esattore sulla porta.
«Non si può immaginare quante nostre imprese a distanza di ben 6 anni non riescono a dimostrare la malattia del dipendente, perché non trovano più il famoso foglietto rosa del certificato: dovranno perciò rimborsare quanto l’Inps aveva a sua volta erogato - afferma Enrico Eva, direttore generale di Confartigianato -. E a distanza di anni nemmeno il lavoratore si ricorda se è stato ammalato, e per quanto tempo». Più facile rintracciare il periodo di maternità, questo è chiaro. E così è partita una caccia al certificato medico dei tempi andati che non si sa a quale esito porterà. La prescrizione degli atti amministrativi scatta dopo 5 anni, ma l’Inps avverte: questa nostra richiesta interrompe i termini della prescrizione. Eva incontrerà i vertici dell’Inps domani, ed esprime profondo sconcerto: «Sarebbe facilissimo verificare la vera o finta malattia, l’Inps dispone di tutti i certificati, ma la risposta è che “trattasi di uffici diversi che non interagiscono fra loro, una cosa è la vigilanza e una cosa è l’ufficio certificati medici”». La burocrazia è sempre in forma, e anzi s’irrobustisce mentre il resto declina sotto vari colpi e pesi.
«Anche noi siamo bersagliati di telefonate, e-mail, richieste - conferma il direttore della sede provinciale dell’Inps, Antonino Rizzo -, stiamo parlando comunque di un campione di ditte che ci è stato inviato dalla Direzione regionale e di pochi casi, su 6000 imprese iscritte a Trieste. Il sistema prevede che la ditta quando ci paga i contributi scomputi la quota di malattia del dipendente che viene coperta da noi. Esempio: se l’azienda paga 1000 di contributi, a fronte di malattie può pagare per esempio 800, il resto è a carico nostro. E quando non si trova giusta corrispondenza tra queste cifre e le dichiarazioni di malattia, bisogna verificare e al caso conguagliare. Ora tutto avviene per via telematica, e il certificato va all’istante agli uffici dell’Inps e lo vede anche l’azienda. Ma con la carta non era così. Però - conclude Rizzo - le verifiche saranno attente, non faremo pagare finché non avremo la certezza che qualcosa è dovuto».
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