L’Inps apre la “caccia” ai certificati di malattia: a Trieste aziende a rischio salasso

Verifiche in atto: richiesti documenti del 2008. Senza la prova delle carte, bisognerà restituire quanto già erogato dall’ente
Foto Bruni 08.05.13 Sede INPS
Foto Bruni 08.05.13 Sede INPS

Era già amara la vita dei piccoli imprenditori triestini. Adesso con la posta è arrivata a decine di aziende una nuova goccia di fiele. Il mittente è l’Inps, che dalla sua ha una inoppugnabile e sana ragione di fondo: verificare l’assenza di brogli ed errori. Solo che chiede alle aziende la prova dell’innocenza.

La sede triestina dell’istituto di previdenza, su impulso di quella nazionale, ha fatto un controllo a campione dei certificati di malattia, ma anche di maternità/paternità, del 2008, e ha scoperto «alcune anomalie» nelle denunce inviate dai titolari d’azienda per i propri dipendenti. C’era allora ancora il buon vecchio sistema cartaceo, e il lavoratore ammalato aveva obbligo di recapitare un certificato del medico al datore di lavoro, e un certificato corrispondente all’Inps. Adesso, dice l’Inps, se questo datore di lavoro non è in grado di dimostrare il possesso di ampia documentazione per il 2008 di tutti i suoi dipendenti assenti per malattia (oltre ai certificati anche buste paga, libri paga e matricola) dovrà rifondere all’Inps i soldi che l’istituto aveva “per quota” pagato a copertura del periodo. C’è chi si è visto avvertire: senza una risposta entro 15 giorni, «l’istituto sarà costretto ad addebitare l’intero importo conguagliato pari a 12.300 euro». Insomma, in assenza di prove,avrà ragione l’Inps. Chi vuol fare ricorso può agire solo on-line, munito del famoso “Pin” di riconoscimento. E chi non paga avrà l’esattore sulla porta.

«Non si può immaginare quante nostre imprese a distanza di ben 6 anni non riescono a dimostrare la malattia del dipendente, perché non trovano più il famoso foglietto rosa del certificato: dovranno perciò rimborsare quanto l’Inps aveva a sua volta erogato - afferma Enrico Eva, direttore generale di Confartigianato -. E a distanza di anni nemmeno il lavoratore si ricorda se è stato ammalato, e per quanto tempo». Più facile rintracciare il periodo di maternità, questo è chiaro. E così è partita una caccia al certificato medico dei tempi andati che non si sa a quale esito porterà. La prescrizione degli atti amministrativi scatta dopo 5 anni, ma l’Inps avverte: questa nostra richiesta interrompe i termini della prescrizione. Eva incontrerà i vertici dell’Inps domani, ed esprime profondo sconcerto: «Sarebbe facilissimo verificare la vera o finta malattia, l’Inps dispone di tutti i certificati, ma la risposta è che “trattasi di uffici diversi che non interagiscono fra loro, una cosa è la vigilanza e una cosa è l’ufficio certificati medici”». La burocrazia è sempre in forma, e anzi s’irrobustisce mentre il resto declina sotto vari colpi e pesi.

«Anche noi siamo bersagliati di telefonate, e-mail, richieste - conferma il direttore della sede provinciale dell’Inps, Antonino Rizzo -, stiamo parlando comunque di un campione di ditte che ci è stato inviato dalla Direzione regionale e di pochi casi, su 6000 imprese iscritte a Trieste. Il sistema prevede che la ditta quando ci paga i contributi scomputi la quota di malattia del dipendente che viene coperta da noi. Esempio: se l’azienda paga 1000 di contributi, a fronte di malattie può pagare per esempio 800, il resto è a carico nostro. E quando non si trova giusta corrispondenza tra queste cifre e le dichiarazioni di malattia, bisogna verificare e al caso conguagliare. Ora tutto avviene per via telematica, e il certificato va all’istante agli uffici dell’Inps e lo vede anche l’azienda. Ma con la carta non era così. Però - conclude Rizzo - le verifiche saranno attente, non faremo pagare finché non avremo la certezza che qualcosa è dovuto».

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