L’informazione non costa trenta denari
No, caro presidente Fedriga: non scriviamo che lei è un fascista, come da lei stesso pronosticato domenica sera sul palco della festa leghista a Trieste, a chiusa del suo attacco frontale al nostro giornale. Non lo scriviamo perché non crediamo lei lo sia e non solo perché non vogliamo cadere nel tranello mediatico con cui ha voluto additarci come nemici bugiardi alle orecchie dei suoi sostenitori. Né ci interessa iscriverci al gioco di ruolo dello scontro tra ipotetici o reali poteri: il nostro mestiere è informare i cittadini, dare loro elementi di conoscenza e chiavi di lettura, senza paraocchi né pregiudizi, pensando che questo sia ancora un valore importante per la convivenza civile, il confronto democratico, la crescita collettiva di un territorio. Un bene comune da tenere vivo, chiunque sia al governo, sottoponendoci tutti i giorni al giudizio dei lettori.
Nel fare questo, capita a chi ha in mano le redini della cosa pubblica di non ritrovarsi rappresentato come gli piacerebbe nel nostro racconto quotidiano: che, chiunque lo può testimoniare, non nasconde come la pensiamo ma non organizza battaglie campali per sovvertire alcun ordine legittimamente costituito. E a ogni occasione che la cronaca ci presenta descrive i successi e le sconfitte, la quotidianità e l’eccezionalità, la bravura come l’inciampo. Questa cosa, così difficile da accettare per qualcuno quando non la si controlla, si chiama libertà di espressione, si chiama dovere di informare.
La sua reazione, presidente, è del tutto simile a quella di tanti altri suoi colleghi, di ogni colore e collocazione, creda a una modesta ma ormai lunga esperienza di lavoro: non è fascista lei, anche solo perché altrimenti avrei incontrato nella mia vita professionale troppi più fascisti di quanti (grazie al cielo e nonostante tutto) ce ne siano effettivamente in circolazione e nei dintorni di ogni potere.
Mancare di equilibrio e rispetto nel giudicare il nostro lavoro non è fascista. È solo un po’ di sudore, non lo pensiamo neppure freddo, dovuto anche al momento. Comprendiamo, da osservatori della scena politica, che quel momento, questo, non è dei più facili né felici: ma di questo, almeno, non se la prenda con noi... E comprendiamo anche il bisogno di individuare e dipingere a tinte fosche un avversario: da indicare alle proprie truppe come bersaglio delle contumelie con cui oggi si tiene acceso ogni dibattito e a sé stessi come alibi quando davanti allo specchio ci si accorge che non tutto sta andando come si è promesso o vagheggiato. Succede. Negli ultimi tempo molto più di frequente, perché ogni forma di intermediazione che in qualche modo si frapponga fra chi governa e la cittadinanza (non il popolo, la cittadinanza: è diverso...) , da qualcuno viene intesa semplicemente come un ostacolo alla propria gloria e al proprio consenso: non come uno strumento delicato ma indispensabile a disposizione di ogni società matura e responsabile. Qualcosa da rimuovere, se non si riesce ad addomesticarla o condizionarla. Per far questo ci sono molti modi possibili, nessuno nuovo. Il primo leghista (presidente di una Provincia) che fece togliere dai giornali acquistati dai suoi uffici quello per cui io lavoravo, l’ho conosciuto 26 anni fa. Nel tempo, ha avuto più fortuna, ha resistito meglio quella testata di quel borioso, ma questo sarà stato un caso, sicuramente diverso dal nostro e dal suo. Perché lei ha spiegato che c’è un’altra via per punire o intimidire un media: negargli la pubblicità, soffocarlo non potendolo bastonare.
Stia sereno, anche in questo caso lei non inventa nulla: lo fanno, ci pensano o ci provano in molti, da sempre. Lo fanno maneggiando i loro soldi e con i loro soldi possono fare ciò che vogliono. Lei domenica sera parlava da capo della Lega, a una festa della Lega: della sua moneta, la Lega fa ciò che vuole. Quando invece sbandiera di tagliare a Il Piccolo gli investimenti pubblicitari della Regione che lei presiede, ragiona di soldi che sono di tutti i cittadini. Non i suoi.
Certo, una strategia avveduta di comunicazione di un ente pubblico può anche ignorare il principale mezzo di informazione sul territorio: un guru del marketing capace di spiegare il senso di una scelta simile lo si trova o lo si inventa sempre. Salvo far sollevare domande (oh, che fastidio le domande...) su che cosa davvero si vuole comunicare: se un servizio reso disponibile alla comunità, ad esempio, o una semplice autocelebrazione per titoli. E se qualcuno pensasse, invece, che allora quei denari servono per premiare, ammansire (non diciamo comprare) chi si mostra ligio al potere? E mortificare al contrario chi non canta nel coro? Sarebbe un malpensante, certo, un idiota: utile o inutile, innocuo o dannoso, in fondo cosa importa?
A noi importa che per trenta denari non tradiremo il patto di lealtà con i nostri lettori, l’unico che abbiamo stretto. E continueremo a cogliere gli aspetti delle nostre vicende che più ci colpiscono. Ha presente sul giornale di domenica quel titolo a tutta pagina sulle finanze regionali promosse da un’agenzia di rating, sovrastato dal suo bel viso sorridente per quanto un po’ emaciato? O come seguiamo da settimane o mesi le questioni della sanità, del lavoro, ultima ma non ultima la Ferriera, del turismo, della scuola o quant’altro senza che ci sia mai giunta nello specifico e nel merito una contestazione vera? Ecco, siamo convinti di non aver mentito e continueremo a non farlo. Sapendo che potremo anche sbagliare, ma con la nostra testa: mai per conto terzi. O per trenta denari. –
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