L’imposta sulla pubblicità di Gorizia nel mirino dei commercianti: «Poca trasparenza e tanta confusione»

Tra i professionisti cittadini cresce il malumore per la mancanza di chiarezza da parte dell’ente riscossore

GORIZIA Un famoso detto dice che la pubblicità è l’anima del commercio, ma nel caso di Gorizia la pubblicità rischia di mandare all’anima ciò che rimane del commercio. Lo sanno i titolari delle sempre più numerose attività che in questi giorni stanno ricevendo gli avvisi di accertamento esecutivo inviati dal nuovo concessionario incaricato della riscossione dell’Imposta comunale sulla pubblicità.

Il caso Icp, inizialmente sollevato dal consigliere comunale Fabio Gentile, si sta allargando a macchia d’olio e montano le proteste. Dopo che l’assessore comunale a Bilancio finanze e tributi, Dario Obizzi, aveva incontrato i referenti della Step Srl e aveva osservato che le singole posizioni potevano essere contestate e che il Comune di Gorizia stava, in ogni caso, valutando la possibilità di una rateizzazione, è intervenuta a gamba tesa Confmercio che, per voce del presidente Gianluca Madriz, ha osservato l’intempestività dell’operazione e ha annunciato che verranno analizzate puntualmente assieme ad un legame le situazioni dei singoli associati.

Si tratta però di una corsa contro il tempo perché pagando entro 60 giorni dalla notifica inviata tramite mail certificata - per lo meno - i commercianti risparmierebbero un terzo della somma richiesta. Somma che in alcuni casi arriva a superare anche i mille euro. Il punto è che il calcolo non è facile da effettuare. La stessa norma è ampiamente interpretabile. L’articolo 7 del decreto legislativo numero 507 del 1993 assomiglia a uno di quei problemi di geometria che venivano dati alle elementari. Tra “superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario” e “mezzi pubblicitari polifacciali”, per decifrare il testo serve una laurea in matematica o in ingegneria più che un commercialista. Calcolare le superfici non è dunque una cosa così banale come sembra e la Step non ha aiutato a sciogliere il dilemma. Quando, per esempio, la termoidraulica Mg di via Diaz ha chiesto spiegazioni, ha semplicemente ricevuto le foto delle proprie vetrine; foto scattate dall’ispettore della Step durante il proprio sopralluogo ma che nulla aggiungevano o dicevano rispetto alle superfici di vetrofanie e insegne. Ovviamente il titolare conosceva già le sue vetrine e non aveva bisogno di rivederle in una fotografia. «Quello che non capiamo – nota, centimetro alla mano Andrea Marangon – è se i singoli marchi, inseriti per semplicità in un unico foglio trasparente, vengano calcolati singolarmente o nel loro complesso. Poi ci sono le altre scritte sulla vetrina: vengono calcolate singolarmente? Vanno calcolati anche gli spazi vuoti tra una riga e l’altra? Il roll-up dietro la vetrina è un elemento mobile, ma è stato inserito anche quello nel conteggio: perché?».

I dubbi sono molti per tutti e forse se l’ispettore si fosse presentato durate il sopralluogo e avesse misurato le superfici insieme ai titolari si sarebbero risparmiati tempo, fatica e arrabbiature. «“Fabio” è il mio nome, non è pubblicità», osserva il parrucchiere Fabio Maggi, indicando la scritta stampata su una tenda dietro la vetrina del “Salone Guido”. «Guido è mio padre. Ho lasciato il salone intestato a lui. Oltre al mio nome, mi contestano le foto appese per fare capire che il salone è per uomo e donna. Mi hanno detto che per ora devo pagare, poi eventualmente toglierò tutto. Per me è un balzello, ma se proprio il Comune ha bisogno di soldi, piuttosto gli facciamo una donazione».

Poco più in là, all’Agenzia Hemingway viaggi non hanno al momento nulla da contestare per quanto riguarda le vetrine, ma per l’insegna che sta sopra la porta le cose stanno diversamente: «Ci è sempre stato detto che ha una superficie inferiore a quella per cui si deve pagare. Non esiste che rientri nel conteggio». –

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