L’impero costruito da Mario Cividin tra affari e legami con la Dc

Cala il sipario sulla società di costruzioni passata dai fasti degli anni '60 alle inchieste di Tangentopoli

Il timbro definitivo lo ha posto il Tribunale di Trieste, ammettendo al concordato preventivo l'impresa che fu di Mario Cividin. Fine della corsa, almeno sul piano dell'immagine pubblica e della continuità di mercato. Ma questa società aveva mestamente imboccato il viale del tramonto da molti anni, dal momento in cui tra il 1992 e il 1993 magistrati e investigatori della Finanza avevano messo il naso negli affari trionfanti, nei numerosi conti bancari, nelle proprietà immobiliari, nelle amicizie politiche e nelle frequentazioni professional - sentimentali del “patron” dell'azienda. La discesa è stata lenta, tanto impercettibile quanto inesorabile. Piccoli segni, convocazioni nelle aule di giustizia, furibonde dispute a suon di citazioni tra i due rami della famiglia per la divisione ritenuta incongrua dell'eredità del fondatore. Il tutto condito dal gossip suscitato dall'entrata prepotente in scena di una figlia nata al di fuori della famiglia ufficiale. Poi la crisi della finanza occidentale, il dimezzamento del numero delle costruzioni private e degli appalti pubblici, gli acconti versati in ritardo sul denaro dovuto, gli avvocati alla porta e i magistrati in attesa.

Ecco, questo è il quadro di una situazione “sospesa” che si affianca a Trieste alla crisi di altre aziende e cooperative storiche. Tempi che cambiano, regole in perenne, tumultuosa evoluzione. Mario Cividin tanti anni fa lo aveva capito e aveva adeguato la sua attività alle esigenze del mercato. Aveva costruito negli anni Sessanta e Settanta case e palazzine di qualità rispondendo alla domanda crescente di abitazioni. Poi quando la prima crisi, la cosiddetta “congiuntura”, aveva ridimensionato le aspettative economiche di molti triestini, si era avvicinato agli appalti pubblici. E aveva esibito il suo palmares: ufficiale degli alpini, amico della Dc, il partito-Stato che promuoveva, premiava, sceglieva, decideva chi favorire e chi no.

«Versavo periodicamente delle somme e sceglievo entità di contribuzione non particolarmente rilevanti, per poter essere più frequentemente presente nella sede Dc di piazza del Gesù anche per attingere e ricevere notizie sulla situazione politica ed economica della mia città». Questo, tra l'altro aveva confessato agli inquirenti Mario Cividin nell'interrogatorio subito il 13 luglio 1993, in cui aveva ripetuto le dichiarazione rese nel maggio antecedente. L'imprenditore aveva sostenuto di aver complessivamente versato a Severino Citaristi, segretario amministrativo della Dc, 300 milioni di lire in tranches di 10 o 20 milioni. «Si trattava di miei fondi personali, tratti dagli utili che mi derivavano dalla mia attività di imprenditore, ovvero dagli interessi su investimenti in titoli miei personali. Questi versamenti erano effettuati per essere più presente e per avere appoggi in ambito nazionale». «Ho fatto presente a Citaristi che avrei avuto piacere di essere sostenuto nelle mie iniziative di lavoro. In questo modo mi garantivo delle commesse. Immagino pertanto che Citaristi abbia informato effettivamente altri suoi colleghi di partito e perciò cito i risultati concreti che ho avuto. Ho effettuato lavori non solo a Trieste ma anche e soprattutto fuori, a Mestre, Padova, presso gli uffici postali del Veneto orientale e del Friuli Venezia Giulia».

Sono quelli gli anni del Cividin trionfante, dell'imprenditore definito da un cronista «l’uomo dagli occhi cerulei», il capitano d’azienda che possiede un castello in Umbria e che conquista sette titoli italiani con la “sua” squadra di Pallamano. Sono gli anni in cui la Sezione nautica della Ginnastica triestina affianca al proprio storico e blasonato nome quello del fortunato impresario edile che non lesina fondi per l'attività sportiva. Soldi escono anche per rinvigorire la tradizione delle “Casade triestine” alle cui sfilate Cividin spesso partecipa in costume storico. Altri denari erano già stati spesi per fondare e gestire negli anni una televisione privata - Teleantenna - che avrebbe dovuto erodere per contro della Dc l'egemonia mediatica di Telequattro. Mario Cividin contro Giorgio Irneri e Chino Alessi.

Era stato candidato al Senato per la Balena bianca ma con i voti dei triestini Cividin era riuscito unicamente a raggiungere l'aula del Consiglio comunale. Lì, nel 2005 l'allora sindaco Roberto Dipiazza gli aveva consegnato il sigillo trecentesco della città. «Ha creato ricchezza e l'ha impiegata per scopi più alti e sociali come solo i migliori sanno fare» aveva affermato il primo cittadino, aggiungendo che «Mario Cividin ha fatto volare alto il nome di Trieste».

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