L’immunologo Mantovani: «Dalle ricerche anti-Covid spiragli ma serve tempo»

Il direttore scientifico dell’istituto Humanitas parlerà delle indagini sul sistema immunitario: «Ci sono molte cose che non sappiamo. Il vaccino? Arrivare primi non è l’obiettivo primario» 
Il professor Alberto Mantovani interverrà sul tema dell’immunit
Il professor Alberto Mantovani interverrà sul tema dell’immunit

TRIESTE «Siamo alla fine del primo tempo nel nostro incontro con il Covid ma il virus non si è indebolito, ora bisogna tenere la guardia alta». Alberto Mantovani, professore emerito di Humanitas University e direttore scientifico dell’istituto clinico Humanitas, sarà uno dei relatori dell’esordio di Esof2020 in Porto vecchio. Nel suo intervento farà il punto degli studi sul ruolo del sistema immunitario dal cancro al Covid. E sulla possibilità di un vaccino in tempi brevi, commenta: «Non necessariamente chi arriva primo risolve il problema, meglio basarsi su dati certi».



Professore, perché gli studi sul sistema immunitario sono importanti per la lotta al Covid?

Si tratta di un sistema molto complesso di cui conosciamo poco, ma negli ultimi dieci anni si è affermata la visione che il meccanismo immunitario e l’infiammazione, che lo manifesta, siano sottesi a una grande varietà di malattie, dal cancro a quelle cardiovascolari fino al Covid-19. Quest’ultimo è un nemico nuovo, che gioca con il sistema immunitario secondo schemi inediti.

È vero che sta cambiando?

Si è fatta un po’ di confusione fra virus che muta e malattie. Nessun dato prova che il virus in circolo da noi si sia ingentilito, per così dire. È la malattia ora a sembrarci meno grave, ma ci sono delle ragioni: sono già morte persone fragili, 35 mila. Sono tante. Inoltre questa è una stagione in cui tutti i virus respiratori si attenuano, si pensi alle polmoniti. Poi, e questo deriva in parte dai comportamenti, l’età dei malati è intorno ai trent’anni, e i giovani sono relativamente più resistenti. Ma non dimentichiamo che il paziente uno è un maratoneta 38enne, eppure ha passato un calvario.



L’Italia si è comportata bene?

In generale sì. Ora però bisogna tenere la guardia alta, perché è finito il primo tempo, nell’intervallo è importante non perdere la concentrazione.

Gli studi sul sistema immunitario cosa rivelano sul Covid?

Il sistema è strutturato su più livelli. La prima linea di difesa è l’immunità innata, che gestisce buona parte dei nostri “brutti incontri” senza che ce ne accorgiamo. È probabile abbia un ruolo nel fenomeno degli asintomatici, ma ne sappiamo ancora poco.

Il secondo livello?

È la risposta adattativa, gli anticorpi. Noi di Humanitas abbiamo fatto quello che allora era il più grande studio sulla diffusione del virus e gli anticorpi in un campione di circa 4 mila persone nei nostri ospedali. Dobbiamo ancora capire se gli anticorpi siano davvero protettivi per i pazienti. L’ultimo livello sono le cellule T, i direttori dell’orchestra immunologica: un serio studio svedese mostra che certi soggetti sono negativi per gli anticorpi ma hanno i linfociti T allertati. Ciò conferma che sappiamo ancora poco, e che gli anticorpi sono solo la punta dell’iceberg dell’immunità.

Si parla di terapie con gli anticorpi.

C’è una grande speranza. Le ricerche condotte sinora con la plasmaterapia hanno dato risultati negativi. Ma sono fiducioso che qualcosa uscirà in quel campo in futuro.

Altri approcci funzionano?

Finora l’unico farmaco efficace è il desametasone, un cortisonico che abbatte le vittime di un terzo se dato al momento giusto.

Cosa pensa della corsa al vaccino?

Mi attengo ai dati. Abbiamo circa 160 studi, di cui una decina all’inizio o prossimi alla fase di sperimentazione. Di alcuni abbiamo i primi dati. Cosa ci dicono? Che si può fare, è possibile indurre una risposta immunitaria, ma gli autori stessi avvertono che non sappiamo se protegga, quanto duri, se funzioni negli anziani e via dicendo. Quando arriveranno i vaccini, e mi auguro siano più d’uno, spero che i dati vengano condivisi fra tutti. Anche perché bisognerà vaccinare miliardi di persone. C’è chi cerca scorciatoie, ad esempio non condividendo i dati, come è il caso del vaccino russo, ma non è così che la scienza va avanti. —


 

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