«Lilly non è stata uccisa»: la Procura di Trieste chiede al gip l’archiviazione del caso

«Non è emersa alcuna ipotesi di reato», scrive De Nicolo in una nota stampa.  Resta il dubbio se la donna sia morta il giorno della scomparsa o si sia nascosta

Gianpaolo Sarti

TRIESTE. Liliana Resinovich si è tolta la vita da sola. Lo scrive la Procura di Trieste in un comunicato stampa ufficiale firmato dal procuratore Antonio De Nicolo e diramato ai mezzi di informazione nella tarda mattinata di martedì 21 febbraio. La mossa della magistratura era ormai nell’aria: il pm Maddalena Chergia, il magistrato che in questi mesi ha lavorato fianco a fianco della Squadra Mobile e della Polizia Scientifica, ora ha chiesto al gip l’archiviazione del fascicolo di indagine. Fascicolo che era stato aperto con l’ipotesi del sequestro di persona.

Attività investigativa

«L’attività investigativa si è protratta per oltre un anno – afferma De Nicolo – ed è stata condotta senza risparmio di energie da parte della Squadra Mobile della Questura di Trieste, costantemente guidata e coordinata dal pm: nulla è stato trascurato di ciò che poteva essere ragionevolmente intrapreso per giungere a una compiuta descrizione delle circostanze della scomparsa della signora e per l’individuazione dei possibili reati commessi in suo danno. All’esito di tale attività, la sola ricostruzione degli eventi consegnata dagli atti processuali è quella dell’intenzionale allontanamento di Resinovich dalla sua abitazione e dell’altrettanto intenzionale decisione di porre fine alla propria vita».

Esami ragionati

Ancora: «Un esame ragionato dei complessivi risultati dell’indagine – i soli con i quali la Procura, ovviamente, è tenuta a confrontarsi – non consente altre ipotesi, e dunque non legittima le illazioni arbitrarie e fantasiose germogliate qua e là nel gorgo mediatico che ha avviluppato questa vicenda e dal quale questo Ufficio s’è doverosamente tenuto lontano».

Caso chiuso

Caso chiuso, dunque. Chiuso però con tutta la sua portata di interrogativi irrisolti. Oggi come prima. A cominciare dalla stranezza di questo suicidio: due sacchetti di nylon in testa con cui Lilly si è soffocata. E quei sacchi neri della spazzatura con cui si è avvolta le gambe e parte del busto. Insolito, ma evidentemente possibile.

Giallo sulla scomparsa

Ma nessuno è ancora in grado di spiegare cosa aveva fatto (e dov’era) la sessantatreenne nei giorni della scomparsa: giorni in cui il suo volto, analogamente a quello del marito Sebastiano Visintin, faceva il giro dei giornali e delle tv di tutta Italia a ogni ora. Ci sono tre settimane di buco che intercorrono tra il giorno della sparizione da casa, la mattina del 14 dicembre, e il ritrovamento del cadavere nel bosco dell’ex Ospedale psichiatrico, avvenuto il pomeriggio del 5 gennaio. Considerando che il medico legale Fulvio Costantinides e il radiologo Fabio Cavalli non hanno rilevato segni di decomposizione nell’organismo, e che quindi hanno datato la morte della donna «al massimo» entro le quarantott’ore prima del rinvenimento, c’è da capire cosa è successo in quel periodo.

Probabilmente non lo sapremo mai, perché gli investigatori non hanno elementi per ritenere che Lilly sia stata sequestrata e tenuta nascosta, né per ritenere che sia stata uccisa. Autopsia, Tac, Dna: nulla di tutto ciò ha portato a un possibile assassino. Quindi non c’è reato.

Le certezze della Procura

Il comunicato di De Nicolo è chiaro: «Il dovere istituzionale della Procura è l’accertamento della commissione di reati in danno della signora, non quello di ricostruirne in dettaglio ogni attimo degli ultimi giorni di vita – una volta escluse, beninteso, sia l’avvenuta segregazione contro la sua volontà, sia la sussistenza di altre condotte lesive in suo danno a opera di terzi. Se dunque non è stato possibile appurare se sia vero che la signora sia deceduta lo stesso giorno della sua scomparsa (come molte circostanze in fatto, puntualmente indicate nella richiesta di archiviazione, inducono a supporre) o se, alternativamente, sia vero che abbia voluto rimanere nascosta un paio di settimane e abbia deciso di por fine alla propria vita solo pochi giorni prima del ritrovamento (come fa propendere la consulenza medico legale), lo scrivente – conclude De Nicolo – rileva che non è necessario sciogliere tale dilemma per giungere all’archiviazione della vicenda: è sufficiente constatare che dalle indagini, scrupolosamente condotte, non è emersa, con un minimo di concretezza, alcuna ipotesi di reati specifica perseguibile ai danni della deceduta».

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