Licenziato per il budino rubato ma il giudice lo fa reintegrare
UDINE È tornato al suo posto di lavoro l’operaio di Turriaco, licenziato assieme a un collega della Bassa friulana per un budino prelevato dalla mensa aziendale. A dieci mesi di distanza è giunta la sentenza della sezione lavoro del Tribunale di Udine al quale il turriachese s’era rivolto impugnando il provvedimento. Il giudice Fabio Luongo ha dichiarato l’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento senza preavviso intimato il 9 luglio 2018. Ha condannato l’azienda a reintegrare l’operaio e al risarcimento di un’indennità pari all’ultima retribuzione percepita a partire dal giorno della risoluzione del rapporto di lavoro fino al rientro in azienda, nonché il versamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali. Il tutto comprendendo anche il pagamento delle spese legali.
Il 9 luglio 2018 i due operai avevano ricevuto la comunicazione del licenziamento senza preavviso per giusta causa. L’azienda, Freud spa di Fagagna, un importante Gruppo operante in più sedi, s’era avvalsa di un filmato ripreso dal sistema di videosorveglianza. I lavoratori, durante una pausa del turno notturno, il 28 giugno, erano entrati in mensa, uno dei due aveva aperto l’armadietto dove vengono riposti i pacchi dei grissini, e le tovaglie di carta, l’altro aveva preso il budino non consumato che aveva messo da parte. Da qui il licenziamento in tronco. La sentenza è chiara: quanto contestato al lavoratore non ha sussistenza poiché le immagini delle telecamere, unico elemento dimostrativo a disposizione dell’azienda, non hanno valore di prova. I fotogrammi presentati dalla società sono stati esclusi dal giudizio. Il motivo parte dal fatto che il sistema di videosorveglianza era stato installato senza accordo con le organizzazioni sindacali, come previsto dallo Statuto dei lavoratori, privo comunque dell’autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato. Un impianto posto in mensa, quindi fuori dall’ambiente di lavoro.
La sentenza analizza la questione, complessa e ampiamente dibattuta, circa la corretta interpretazione di legge sull’impiego e l’installazione degli impianti audiovisivi, facendo riferimento alla riforma (decreto legislativo 151 del 2015) intervenuta in merito ai “controlli a distanza” dell’attività dei lavoratori, prima vietati poiché «lesivi della dignità e riservatezza» dei dipendenti, poi estesi alle esigenze di «tutela del patrimonio aziendale». E la riforma, argomenta il giudice, stabilisce che in questo caso la raccolta dei dati deve avvenire proprio «attraverso sistemi di videosorveglianza installati previo accordo sindacale o sulla base di autorizzazione amministrativa dell’Ispettorato».
Da qui, dunque, la constatazione da parte del giudice dell’«inutilizzabilità a fini di prova del licenziamento intimato per giusta causa» al lavoratore di Turriaco, e quindi «l’impossibilità per il datore di lavoro di provare in giudizio il fatto contestato al dipendente», a questo punto «obbiettivamente insussistente». Il dipendente di Turriaco, operaio di quarto livello, aveva lavorato i primi due anni nell’unità aziendale di Martignacco e successivamente in quella di Fagagna. A rappresentare il lavoratore è stato l’avvocato Michele Latino Quartarone, l’azienda si è costituita in giudizio con l’avvocato Giorgio Damiani.—
Riproduzione riservata © Il Piccolo