Liberata piccola schiava romEra stata venduta dai genitori
L’operazione si è conclusa tre giorni fa in un campo nomadi di Correzzola, in provincia di Padova, dove hanno fatto irruzione quaranta uomini della polizia. Ora Giulia, la ragazzina liberata, è ospite di una struttura protetta. La piccola era stata venduta dai genitori ad un altro clan e fatta sposare ad un ragazzo di 15 anni
TRIESTE.
Quattro mesi di intercettazioni telefoniche sono stati necessari agli investigatori della squadra mobile di Trieste per liberare una ragazzina rom di 14 anni venduta, secondo l’accusa, dai genitori a un altro clan. L’operazione, ideata e gestita dal pm Federico Frezza, si è conclusa tre giorni fa in un campo nomadi di Correzzola, in provincia di Padova, dove hanno fatto irruzione quaranta uomini della polizia. Alcuni erano giunti da Trieste e hanno diretto l’operazione, altri, la maggioranza, erano stati mobilitati in Veneto.
Ora Giulia, la ragazzina liberata, è ospite di una struttura protetta e per la prima volta nella sua vita ieri ha potuto assistere a uno spettacolo cinematografico. Ha abiti nuovi e le è stato offerto anche un paio di pattini, un oggetto che mai in precedenza aveva potuto calzare e usare su una pista. Giulia, dopo essere stata venduta per 200mila euro - questo dicono le intercettazioni - doveva rubare per sostenere economicamente, assieme ad altre ragazzine-ladre, il nuovo clan di appartenenza. Dopo la ”cessione” era stata anche ”sposata” da un ragazzino di 15 anni. Chiamarlo marito sembra eccessivo.
Ora si è aperto un singolare ”braccio di ferro” tra chi l’ha liberata e cerca di offrirle una nuova possibilità di vita e i clan di riferimento che - com’è già accaduto in passato in altre occasioni - cercheranno a breve scadenza di individuarne il rifugio per indurla a scappare e a rientrare in ”famiglia”. Ma non basta. Questi ragazzini e ragazzine venduti come schiavi non conoscono altra realtà che quella del clan. Spesso non sanno né scrivere né leggere e sono costretti a una disciplina ferrea che impone loro di fare bottino nelle abitazioni. In sintesi non possono scegliere un stile di vita diverso da quello tradizionale dei rom. L’imprinting è così forte che spesso questi piccoli schiavi, anche se liberati, fuggono dalle strutture protette di cui sono ospiti. Fuggono per ritornare a fare la vita che veniva loro imposta, perché hanno paura del nostro mondo, non ne conoscono le regole e non sanno come inserirsi.
L’operazione di Correzzola è scattata dopo una attenta sorveglianza telefonica. Giulia seguiva la nuova famiglia, che da agosto alle festività di fine anno è sempre stata col proprio camper lontana dall’Italia. Il Paese più frequentato è stato la Germania, ma le intercettazioni hanno segnalato il clan anche in Olanda, Belgio, Austria e Croazia. Quando gli investigatori hanno capito che la famiglia di Nebojsa Duric stava avvicinandosi al territorio italiano, l’operazione si è avviata. Un buon numero di agenti di polizia ha circondato il campo nomadi e vi ha fatto irruzione. Il confronto con i nomadi è stato piuttosto acceso ma Giulia è stata individuata, liberata e sentita dagli inquirenti.
«Voglio ritornare dalla mamma». Lo ha detto più volte, ribadendo quanto aveva affermato ripetutamente al telefonino in questi mesi, senza minimamente sospettare di essere intercettata. La mamma e il papà, rinchiuso da agosto nel carcere del Coroneo, l’avevano venduta all’altro clan mettendosi in tasca 200mila euro. Nella vicenda è coinvolta come testimone anche una donna triestina che è risultata essere la proprietaria di tre camper in cui vivevano altrettante famiglie rom. «Ho fatto loro un favore. I mezzi li hanno pagati loro. Mi è stato chiesto solo di intestarli a nome mio, ma io non ho né percepito né sborsato un soldo».
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