L’ex governatore: «Chiudo per sempre con la politica»

L’industriale non ci ripensa e conferma la linea di due anni fa quando si dimise dalla Paritetica in attesa della Corte Suprema
Di Piero Rauber

TRIESTE. Ci ha messo il tempo di un caffè. O forse anche meno. La camera di consiglio di Riccardo Illy, come giudice di se stesso, è stata subitanea. E, in fondo, senza la minima sorpresa, data la proverbiale inflessibilità, nel bene e nel male, del personaggio. Il due volte sindaco di Trieste ed ex governatore del Friuli Venezia Giulia ingoia il pronunciamento della Cassazione senza rigurgitare reazioni se non una frase che chiude, a suo modo, un’epoca: «Con questa sentenza si chiude definitivamente il capitolo del mio impegno nella pubblica amministrazione». Illy, insomma, esce dalla politica per sempre. Oddio, non è che ultimamente ci fosse proprio dentro (due anni fa, nella primavera del 2014, alla luce della condanna decisa in appello dalla Corte dei conti romana, aveva mollato la Paritetica Stato-Regione che l’aveva appena fatto rientrare nel giro dopo l’unica sconfitta elettorale patita nella sua vita alle regionali del 2008) ma nell’immaginario continuava a sedere in panchina, pronto un domani a ridiscendere in campo.

E invece ora, per Illy, in politica non c’è, non ci può più essere alcun domani. «Non ho nulla da aggiungere, questo è per me un capitolo definitivamente chiuso», fa sapere l’industriale triestino al telefono, nel pomeriggio, una volta incassata la sentenza della Cassazione, con la stessa sintetica cortesia, sua personale, con la quale aveva costantemente risposto da politico fino al fatal 2008, prima di eclissarsi in un improvviso rumorosissimo silenzio. Allora, però, la sconfitta elettorale l’aveva scottato. Eccome. Stavolta, giura, non è così. «No, non mi sento amareggiato». E cosa sennò? «Non mi sento nulla». Presidente, dunque la sua è una pietra tombale? «Sì». Non c’è nulla di nuovo, dopotutto, sul fronte dell’Illy pensiero: «Stante la sentenza, mi sento inadeguato per qualsivoglia incarico pubblico, elettivo o di nomina», aveva puntualizzato proprio due anni fa quando la Corte dei conti aveva ribaltato in secondo grado la prima assoluzione contestandogli di fatto di aver svenduto un paio d’immobili della Regione. «Non esprimo mai sentimenti sulle sentenze. Ne prendo atto e traggo le conclusioni», aveva aggiunto, preparandosi come poi fece nel 2015 a restituire all’ente che aveva comandato la sua quota da 70mila euro e rotti, trattenuta per la cronaca dalla liquidazione dei contributi trattenuti in busta paga quand’era governatore, posto che lui aveva rinunciato al vitalizio. «Se la Cassazione mi desse ragione trarrei conclusioni diverse rispetto a oggi, effetto della prima condanna che subisco. Grande o piccola che sia, pur senza rilevanza giuridica, sul piano etico è una macchia», aveva autosentenziato Illy. Si era il 2014, in piena bufera giudiziaria (per altri) per le spese pazze...

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