«L’Europa sfaldata dopo la caduta del Muro e l’Italia scopre l’autonomismo di Trieste»

L’analisi geopolitica di Lucio Caracciolo a trent’anni dallo storico evento di Berlino 

TRIESTE Dopo la caduta del Muro di Berlino il sogno di una nuova Europa più unita e più coesa non si è avverato. Anche a Trieste si respira il profumo dell’autonomismo se non dell’indipendentismo e il futuro imprenditoriale ed emporiale della città sembra finito in un vicolo cieco dopo le sirene cinesi. È tagliente l’analisi del direttore di Limes, Lucio Caracciolo che sarà oggi, 18 novembre, a Trieste in Stazione Marittima, alle 17, per parlare proprio dei nuovi orizzonti per Trieste a 30 anni dalla caduta del Muro, mentre per il 2020 è in cantiere una due giorni di studi, sempre a Trieste e sempre a cura di Limes sul rapporto tra l’Italia e il mare.

Si celebra la caduta del Muro di Berlino, ma in verità si celebra il fallimento di un’Europa che non è riuscita a reinventarsi...

La Cortina di ferro che andava sostanzialmente da Stettino a Trieste è caduta e si è contemporaneamente spostata più di mille chilometri a Est verso la Russia, ma, invece di far cadere anche le altre frontiere, queste si sono moltiplicate, le tensioni fra i Paesi europei si sono accentuate con casi limite come quello catalano, scozzese e islandese.

E in questo processo geopolitico si è scoperta anche la “misteriosa” Questione di Trieste?

Sì, e lo abbiamo scoperto quasi casualmente in seguito alla Via della Seta, ovvero al fatto che i cinesi hanno, o forse avevano, individuato nel Porto di Trieste uno dei terminali sudeuropei per le vie marittime della seta.

In quest’ottica Trieste è l’ultima città dell’occidente o la prima dei Balcani?

Il confine tra Europa occidentale ed Europa balcanica non è un confine naturale, ma molto spesso mentale. Credo che Trieste sia a pieno titolo parte dell’Europa occidentale, ma questa è una mia opinione personale che verte più sui caratteri culturali e antropologici che di matrice geografica, quello che è importante capire, invece, è fino a che punto Trieste sia o meno una città italiana.

Trieste, in effetti, si sente tagliata fuori dal resto della penisola, basti pensare che i treni si fermano a Mestre da dove si impiegano quasi due ore per arrivare in città. Si risolverà questo problema infrastrutturale?

Si deve riuscire, perché l’alternativa è quella di perdere di fatto, ma anche di diritto, Trieste dal punto di vista dell’Italia, il che sarebbe un evento traumatico. Non c’è dubbio che quando Trieste divenne definitivamente italiana nel 1954 le aspettative dei triestini, almeno di quelli che erano favorevoli al ritorno all’Italia, erano tutt’altre.

Che cosa accadde allora?

A Roma si è rimossa la questione e solo negli ultimi anni si è scoperto che a Trieste c’è un sentimento sempre più esplicito di autonomia e in alcuni casi addirittura indipendentista e che il passato asburgico veniva ricordato con profonda nostalgia.

L’Italia si lavò un po’ la coscienza con l’Iri e le Partecipazioni statali...

Quella fase fu l’inizio della crisi italiana, almeno dell’economia, ma oserei dire anche della politica. Non è forse simbolico che nel caso dell’Ilva di Taranto ora si parli di rinazionalizzazione? Vuol dire che qualcosa è stato sbagliato nella politica industriale italiana.

Tornando a Trieste?

Dobbiamo capire che Trieste ha una sua collocazione geopolitca, economica e commerciale di carattere mitteleuropeo e questo non esclude affatto la sua italianità e il suo rapporto con il resto del Paese, ma se poi il resto del Paese non se ne cura è difficile accusare Trieste di guardare altrove.

È già accaduto questo guardare altrove?

Sì, nella vicenda della Via della Seta, quando appunto la questione del Porto di Trieste è stata un affare sostanzialmente gestito localmente mentre dall’altra parte c’era il colosso della Cina.

Trieste eguale a porto. Un porto che sta crescendo con la nuova piattaforma logistica e con il Porto vecchio da ridisegnare. Quale sviluppo si può determinare?

Lo sviluppo di Trieste dipenderà da quello contemporaneo complessivo della città, di un sistema industriale collegato con il porto, di un sistema infrastrutturale e ferroviario che lo valorizzi nel suo collegamento con la Mitteleuropa, con l’Austria, l’Ungheria e la Baviera, ma anche con il resto dell’Italia. In quest’ottica come stiamo trattando il Corridoio paneuropeo 5 di cui la tratta Lione-Torino e solo un pezzo è abbastanza esemplificativo della nostra ignoranza.

Mentre intanto si lavora bene sul Corridoio 10 dove la Serbia ha ultimato i tratti di sua pertinenza...

Se i corridoi verticali dovessero ulteriormente svilupparsi a scapito di quelli orizzontali è chiaro che Trieste diventerebbe una sorta di punto di striscio di questi corridoi che non sarebbero intersecati da corridoi che vadano invece nella direzione Ovest-Est.

Poi c’è la cosiddetta Iniziativa dei Tre Mari sponsorizzata dalla Croazia che taglia fuori sempre Trieste...

Il progetto dei Tre Mari ha un carattere più strategico che civile. Ma il sistema dei corridoi verticali è anche un’esigenza americana di strutturare un sistema anti-russo e anti-cinese sull’asse adriatico-baltico. Ma, se dall’altra parte non c’è nulla, Trieste rischia davvero di essere tagliata fuori. —

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