L’esercito della Jugoslavia si ricostituisce su Facebook
BELGRADO. «Capljina 1981, scaglione di ottobre, non mi ricordo i nomi, aiutatemi» scrive Sasa, dalla Serbia, a corredo di una vecchia foto in bianco e nero che ritrae quattro soldati di leva, sorridenti. «Artiglieri, fatevi vivi», chiede Dragiša, da Grocka, vicino Belgrado.
«Per favore, compagni delle classi 1979-80 di leva a Stip, vi cerco da anni», scrive Mirsada dalla Bosnia. «1968-1969 a Samobor», guardia «81/82 Kuca Cvjeca», alla tomba di Tito, «Poligono C, Osijek, 1991», prima della grande strage, «qualcuno si riconosce?». «Milan Balazic e Cvijetin Mijatovic, fatevi vivi, siamo stati insieme di stanza a Bileca», un altro messaggio.
E ce ne sono altre centinaia, dello stesso tono. Tutti postati a ritmi sempre più frenetici su quello che sta diventando uno dei gruppi Facebook più “caldi” dei Balcani, denominato «Ritrova i tuoi compagni della ex Jna», l’esercito federale jugoslavo.
Quella Jna diventata con Tito una delle armate più potenti e temute in Europa, morta e sepolta nel maggio del 1992, ma che è tuttavia esercito ancora vivo e vegeto, a quanto sembra.
Almeno nella memoria di migliaia di ex soldati di leva jugoslavi, oggi cittadini delle repubbliche sorte dal collasso della Federazione, non troppo a sorpresa nostalgici di un tempo lontano.
La conferma arriva sfogliando le pagine del gruppo e le centinaia di foto private che vengono postate dagli iscritti a “Pronadji drugove iz bivse Jna”, che sta avendo un vero e proprio boom negli ultimi tempi, con 32mila iscritti dieci giorni fa, saliti già oggi a 44mila.
Non parliamo dei 200mila e passa effettivi della Jna dei tempi d’oro – senza contare la riserva - ma il fenomeno colpisce, con macedoni, sloveni, serbi, croati, bosniaci e kosovari, tutti ben oltre i quaranta, che si scambiano messaggi come se la Jugoslavia non fosse mai affogata nel sangue e negli odi etnici.
Neppure i conflitti e i nuovi confini sembrano aver distrutto antichi legami. L’obiettivo è d’altronde quello di parlarsi e ritrovarsi, «a prescindere da appartenenze nazionali, politiche o di qualsiasi altro tipo», è la regola d’oro del gruppo.
«Cerco qualcuno che si ricordi di un soldato soprannominato “Paganini”, era di Zajecar», in Serbia, «ed era il mio migliore amico», scrive Ayhan Saban, kosovaro albanese.
«Chi ha servito alla caserma Cerovac a Karlovac», oggi Croazia, si faccia vivo, chiede uno, mentre altri postano orgogliosi le foto di un giuramento datato aprile 1979.
Ci sono anche i ricordi piacevoli di alcune volontarie croate, bosniache e serbe, tutte di stanza nel 1983 in una caserma, oggi dismessa, a Belgrado. Alcune di loro, proprio grazie a Facebook, si sono ritrovate. E ancora altri che celebrano i bei tempi trascorsi tra le montagne, a far la guardia sul confine italiano.
Tantissimi gli apprezzamenti in stile «fratellanza e unità» anche per un fotomontaggio con sei mani che si stringono, con i colori delle bandiere dei nuovi Stati balcanici. «Abbiamo sbagliato, ma possiamo rimediare agli errori, dimostriamo ai nostri figli il valore dell’amicizia e dell’amore», scrive Radomir, applaudito da decine di ex commilitoni.
«Mai tempi migliori», quelli della Jugoslavia, un altro commento ricorrente. Ma nel gruppo, altri messaggi raccontano l’insensatezza forse ancora non del tutto riconosciuta delle guerre. «Io sono stato cuoco nel 1979, a Kicevo», Macedonia, «via Skype ho ritrovato un collega che cercavo da anni, abbiamo parlato un po’ ma poi mi ha bloccato perché lui musulmano, io serbo ortodosso», scrive deluso Miodrag Barbulovic.
Altri - tantissimi - maledicono quanto accaduto, incluso lo sfacelo degli immobili Jna. Vladimir Prykov, da Bitola, posta le foto della sua vecchia caserma devastata da ladri e vandali come tante altre. «Mi duole il cuore a vedere queste immagini», gli fa eco un bosniaco, oggi residente a Vienna.
«Piango», rincara Brane, dalla Slovenia. «Sono così triste», conferma Sretimir, dalla Serbia. Ed ecco poi gli slogan dedicati a Tito. Quello più in voga, con centinaia di like, recita tra l’adorazione e l’ironia: «Compagno Tito, torna, ti amano i musulmani, i serbi e i croati, tu hai rubato per dare a noi, quelli di oggi rubano e non ci danno nulla».
Insomma, un vero e proprio flusso di coscienza di ex jugoslavi nostalgici di un passato ritenuto migliore. O forse solo il rimpianto della propria giovinezza perduta.
Ma “Pronadjii drugove iz bivse Jna” è anche qualcosa di più: una miniera di migliaia di foto private, ricordi, aneddoti e informazioni su quello che fu l’esercito federale jugoslavo, per generazioni di persone - come in Italia - spostate per mesi da sud a nord con l’obiettivo di compattare e rendere più unito un Paese comunque frammentato.
Una miniera che permette di sbirciare nella quotidianità senza retorica di un esercito di leva rispettato in patria e non solo.
Soldati in fila allo spaccio, altri che bevono birra Pec, concertini di band formate da graduati in licenza, cartoline per il calcolo dei giorni rimanenti alla fine della “naja”, come in Italia «365 giorni all’alba», altre di saluti da cittadine sconosciute, sedi di caserme, patenti militari e biglietti ferroviari ridotti per soldati, crema Ilirija per pulire le scarpe, Brion per farsi la barba, Pino Silvestre come profumo. Profumo di nostalgia, tra gli ex commilitoni di un esercito e di un Paese che non c’è più.
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