L’epopea di Gorizia “piccola Liverpool”: sale, musica, gruppi e tanto amarcord

La recente morte di “Speedy” delle Tigri e il saggio di Gigi Lo Re ha riacceso i riflettori sugli anni Sessanta e Settanta
Alex Pessotto
Un’esibizione di Sergio Di Bon e Massimiliano Gorianc, componenti del gruppo goriziano i Nobili, durante la sagra di San Rocco
Un’esibizione di Sergio Di Bon e Massimiliano Gorianc, componenti del gruppo goriziano i Nobili, durante la sagra di San Rocco

GORIZIA. Bastava poco: la voglia di sognare. Per il resto, ci pensava la musica. Ma non era importante andare al conservatorio, frequentare sofisticati studi di registrazione, esibirsi su palcoscenici imponenti, avere un codazzo di ammiratrici. Si accendeva la radio, la Tv o si metteva un vinile al giradischi. Poi, la fantasia cominciava a correre e non per l’Lsd. I Beatles conquistavano il mondo, compiendo un’autentica rivoluzione che andava ben oltre le note. Il ’68 finiva per riguardare tutti, anche quelli che lo ritenevano una sciagura. Le sirene d’oltremanica raggiungevano Gorizia, pronta, per una volta, non a ronfare ma a drizzare le antenne, seguendo i Fab Four in maniera un po’ artigianale e, soprattutto, con tanta buona volontà. In città, nessuno veniva nominato baronetto, al massimo poteva ambire al cavalierato. Si suonava la sera e poi, la mattina dopo, si tornava sul posto di lavoro, indossando una giacca o una tuta d’operaio, ma sempre conservando il ricordo di un lungo applauso o del bacio di una ragazza: erano questi i premi che contavano; i cachet spesso erano assai magri. Quel che si faceva lo si faceva per passione.

L’inevitabile rivalità raramente turbava i rapporti d’amicizia. Si provava nei sottoscala, nelle cantine, nei cortili e i concerti avevano il pubblico delle sagre, dei locali, dei tè danzanti, e delle scuole superiori, che ospitavano le Feste del Ceppo e le crostolade. Poi, certo, c’era la sala Petrarca e anche l’Unione Ginnastica Goriziana che accoglieva la rassegna “Italia Beat”, poi diventato un festival rock. Già, era un’altra Gorizia e, per più di qualcuno, una piccola Liverpool. Le sale, comunque, non erano numerose e allora occorreva andare all’Enal di Sagrado e al Dancing da Flavia, a San Lorenzo. Le Tigri erano quelle di Gigi Lo Re (che ormai sforna libri), Tiziano Bainat, Angelo Konjedic, Edoardo Scozzai, Mario Grusovin e Giuliano “Speedy” Gregori, morto a Ferragosto. Poco importa che Lo Re, alla batteria, non fosse John Bonham né Keith Moon, poco importa che il suo ruggito non faccia più paura a nessuno. Quel gruppo, per noi, è stato un precursore: le esibizioni al Piper di Roma e i due brani per “Vaghe stelle dell’Orsa” di Luchino Visconti fanno ormai parte della mitologia cittadina. Ma poi era nata una lunga serie di altre formazioni, al punto che una ricostruzione capillare è semplicemente impossibile: Nobili, Leggendari, Cobra, Menestrelli, Cadetti, Otis Group, Pantere, Mostri Sacri, Les Provos, Sextons, Fantasmi, Nspn.

Ecco qualche nome e davvero, se si è trascurato qualcuno, non si è fatto apposta. Le canzoni, spesso e volentieri, non erano originali, ma le cosiddette cover. A quelle di Lennon e McCartney si univano i successi di altri gruppi, Rolling Stones in primis: il rock si faceva strada, irrompeva in scena e incrementava la forza di un vento di ribellione, il desiderio di cambiare tutto. Alcuni, come Gino Pipia con i suoi Trovieri, si cimentavano con il cantautorato, la musica d’autore. In qualche caso, si trattava di strumentisti costretti a lasciar da parte le ambizioni di gloria; in altri casi, le note davano loro da vivere. In ogni caso, sfondare era un’ardua impresa, specie partendo da Gorizia, ma qualcuno ci riusciva. C’era la possibilità di fare qualche tournée e alcuni gruppi locali aprivano le esibizioni di gruppi noti. In piazza Sant’Antonio, per un certo periodo, c’era anche lo studio di incisione di Roberto Montanari e Paolo Gruden, che, con i loro Dogs, ottenevano entusiastici apprezzamenti.

Il talento abitava in riva all’Isonzo e, a cinquant’anni di distanza, è bene ricordarlo. Poi, alcuni gruppi si sono sciolti: qualcuno ha abbandonato, qualcun altro si è riciclato in altre formazioni. Soprattutto, ci ha pensato l’avvento della disco music a stroncare l’attività di molte compagini nostrane, confinandole al revival: la Gorizia “piccola Liverpool” dura allora una decina d’anni. Quando, però, hai suonato uno strumento, anche se l’hai appeso al chiodo, il suo suono ti resta dentro per sempre. Quella città dei Sessanta e Settanta è allora ancora viva, nel ricordo dei suoi protagonisti. Qualcuno come Gino Pipia, come Angelo Konjedic e come “Speedy”, come Sandro “Baby” Srebernic, come Paolo Danelli e come Enzo Giorgini, se n’è andato, ma lo spettacolo deve andare avanti. La storia della piccola Liverpool, insomma, non la cancella nessuno e anche loro, a pieno titolo, ne fanno parte. —


 

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