Lelioswing riporta Luttazzi nella Trieste tanto amata FOTO
TRIESTE. Quattro anni dopo le ceneri disperse nel mare della sua Trieste, Lelio Luttazzi vive ancora. Vive con la sua musica, le sue canzoni, il suo stile. Vive nel ricordo dei sabati sera televisivi in bianco e nero, gli “Studio Uno” con a fianco Mina, e delle sue “hiiiiiit parade” radiofoniche. Vive anche grazie a questa bella mostra, arrivata finalmente nella città da cui doveva partire.
“Lelioswing, 50 anni di storia italiana” ha invece debuttato a novembre a Roma, ai Mercati di Traiano, a due passi da piazza Venezia e dai Fori imperiali. Quasi ventimila spettatori in tre mesi. Saranno di più a Trieste, dove la mostra è allestita negli spazi del Magazzino idee. A due passi dal suo mare e da quel gioiello cadente del Porto vecchio, a poche centinaia di metri dall’ex Hotel de la ville dove “el giovanoto mato” suonava il piano per i soldati americani finita la guerra, a qualche centinaia di metri in più dalla “sua” piazza Unità, dove scelse di venire a chiudere la sua vita meravigliosa (“Adesso basta, meglio di così la mia vita non poteva essere”, si legge in un angolo della mostra). A sollevare lo sguardo verso Nord, dietro il ciglione carsico s’immagina anche la Prosecco della sua infanzia, orfano di padre e alunno della madre maestra, unico bambino italiano in una classe di sloveni.
«La persona più felice oggi è Lelio - ha detto la vedova Rossana, presidente della fondazione intitolata all’artista -, ha amato Trieste tutta la vita e qui ha voluto tornare. L’ambizione della mostra è parlare della sua arte, del suo lavoro, ma anche di mezzo secolo di storia italiana. È una mostra fatta con amore, da parte di tutti».
«È un omaggio dovuto - ha aggiunto Maria Teresa Bassa Poropat, presidente della Provincia - a un protagonista del nostro tempo, a un triestino del mondo, partito da qui e poi rientrato. Ha saputo interpretare la storia e il costume del nostro Paese, della nostra città. Senza nulla togliere alla capitale, questa mostra doveva partire da qui. Abbiamo rischiato di perderla ma abbiamo rimediato in tempo».
La mostra multimediale - curata da Cesare Bastelli, Silvia Colombini e Leonardo Scarpa, con la collaborazione di amici e colleghi come Enrico Vaime per la supervisione ai testi, Pupi Avati per quella artistica, Piera Detassis per la parte cinematografica - racconta il Luttazzi musicista e compositore, showman e attore, scrittore e regista. Varie anime, da lui vestite sempre con quella leggerezza che ne costituiva una sorta di marchio di fabbrica.
Il racconto accosta vita, carriera artistica e avvenimenti storici triestini e italiani, partendo dall’infanzia a Prosecco con il pianoforte dei primi esercizi, dai ricordi del primo complesso, I gatti selvatici. Dopo Trieste, il trasferimento a Milano per la direzione artistica della Cgd fondata dall’amico e concittadino Teddy Reno. Poi Torino per la prima orchestra d’archi ritmica della Rai. Due tappe, prima dell’approdo a Roma negli anni del boom, dei juke box, delle scritte al neon. I varietà dei sabato sera televisivi rigorosamente in bianco e nero, il cinema come attore ma soprattutto come autore di colonne sonore, la radio con la citata rubrica dei dischi più venduti. Nella quale un bel giorno “el mulo Lelio” si trovò a dover annunciare con compiaciuto imbarazzo l’ascesa della sua “El can de Trieste”.
Tutto rivive fra gli spazi del Magazzino delle idee, tra un salotto anni Sessanta con televisore Geloso, una sala multimediale nella quale duettare al piano con lo stesso Luttazzi, dischi, locandine, foto, manoscritti, un esemplare del leggendario juke box Wurlitzer, cimeli d’epoca... Alcune cose, fra cui il pianoforte verticale su cui l’artista ha suonato per tutta la vita, rimarrano a Trieste, nei locali della biblioteca statale Stelio Crise.
Rispetto al debutto romano, la versione triestina della mostra offre alcune cose in più. Innanzitutto la Mercedes cabrio d’epoca ch’era stata per alcuni anni di Luttazzi, e ora fa bella mostra di sé davanti all’ingresso e in una gigantografia all’interno. Poi altri oggetti e foto, fra cui un album dell’artista uscito in Argentina e una foto dello stesso a Broadway, la via dei teatri a New York.
«L’auto - racconta Cesare Bastelli, vicepresidente della fondazione - l’abbiamo ritrovata per caso. Lelio l’aveva comprata in Germania negli anni Sessanta, su segnalazione delle gemelle Kessler che sapevano di quella sua passione. La tenne per alcuni anni, poi la rivendette. Per uno strano gioco del destino ora appartiene a un triestino, che ce l’ha prestata per la mostra».
Ancora Bastelli: «L’album argentino l’abbiamo recuperato su eBay: 25 euro più le spese di spedizione, ora è nostro. La foto, ci risulta l’unica esistente di Luttazzi negli Stati Uniti, risale a un viaggio che aveva fatto con la scusa di accompagnare Walter Chiari impegnato in una commedia musicale, ma ovviamente per inseguire il mito americano della sua giovinezza».
La mostra rimarrà aperta fino al 4 maggio.
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