«Lei è fidanzata? Come datore devo saperlo»

Le testimonianze di alcune donne che hanno dovuto subire atteggiamenti spiacevoli

TRIESTE «Lei è fidanzata?», «Ha intenzione di avere figli?», «E i rapporti con la sua famiglia d’origine?». Non un accenno alle competenze. «Io non sono tenuta a dare queste risposte», risponde - dopo un iniziale momento di incertezza - una ragazza di 31 anni a un colloquio di lavoro per un posto da commessa. Lui si arrabbia, dice che «come imprenditore deve sapere queste cose» prima di decidere se assumerla, perché «non vuole essere fregato». La ragazza mette fine alla conversazione ma, poco dopo, parlandone con le amiche, scopre che anche loro hanno ricevuto gli stessi quesiti sulla sfera personale, peraltro vietate dalla normativa del diritto del lavoro. Un’altra giovane, della stessa età, impiegata di ritorno dalla maternità, vive con un assegno di povertà. Non è riuscita «a conciliare il piano sui congedi parentali». Si è trovata in una situazione di incertezza, senza la reale possibilità di fruire in maniera adeguata dei congedi. Non avendo raggiunto un punto di incontro nella trattativa con il datore di lavoro, ora rischia di non poterne usufruire. Perché è proprio il capo ad avere «il coltello dalla parte del manico». Ora la giovane sta valutando se licenziarsi o meno. E forse, anche se questo non la rende felice, deciderà di dare le dimissioni volontarie entro il primo anno del figlio, per aver diritto agli ammortizzatori sociali.

E poi, ancora, la storia di una trentaduenne che crede di aver trovato finalmente il datore di lavoro pronto ad assumerla. Quest’ultimo scopre, però, di non poter fruire di alcuni incentivi previsti per legge: se la persona non ha mai avuto un contratto a tempo indeterminato e ha meno di 35 anni, lui ha diritto per tre anni a una riduzione delle spese contributive del 50%. Da un controllo con l’Inps, però, emerge che una decina di anni fa, mentre la ragazza lavorava in un ristorante, era stata assunta per 15 giorni, a tempo indeterminato. Il responsabile del locale l’aveva poi invitata a firmare le dimissioni per riprenderla nello staff con dei contratti precari. Cosa che lei ha fatto. Ora il nuovo datore di lavoro sta studiando cosa fare. Ma le soluzioni sono due: o non verrà assunta o verrà assunta a tempo determinato.

Queste sono solo alcune delle vicende di disparità vissute in alcuni luoghi di lavoro a Trieste. Sono storie di donne, colpite nel 66% dei casi secondo i dati del Punto Ascolto Mobbing, che si sono rivolte alla Consigliera di parità di Trieste, pronta ad accogliere testimonianze anche in forma anonima.

Molte delle donne che usano questo strumento arrivano dalle cooperative di pulizie: lavoratrici che subiscono modifiche a ogni cambio di appalto, spesso al ribasso e con una richiesta di estrema flessibilità. È il caso di una signora di 50 anni, costretta a uscire di casa alle 6 di mattina e rientrare nel pomeriggio, per fare appena 3,5 ore di lavoro. Malpagate.


 

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