Legge sulle chiese: tra Podgorica e Belgrado scoppia la crisi diplomatica

Assalto degli ultrà della Stella Rossa alla rappresentanza del Montenegro. Il premier Marković attacca Vučić

BELGRADO Basta osservare in silenzio l’alzata di scudi delle piazze. Il Montenegro ha cambiato strategia e punta ora su una controffensiva a tutto campo, nella “guerra delle chiese” scatenata dalla controversa legge sulle libertà religiose. Controffensiva che ha come obiettivo Belgrado, accusata da Podgorica di eccessiva permissività verso chi protesta anche nella metropoli serba contro la recente legge promulgata dal Montenegro, che potrebbe far passare nelle mani dello Stato decine di chiese e monasteri ortodossi, la paura del clero serbo nel piccolo Paese adriatico e delle migliaia di persone che da giorni continuano a scendere senza sosta in piazza pacificamente in tutto il Montenegro.

A dare fuoco alle polveri è stato ieri il premier montenegrino Duško Marković, che via Twitter ha lanciato un “anatema” contro il «comportamento scioccante» della Serbia. Si tratta di un riferimento alle scene osservate giovedì notte a Belgrado, dove alcune migliaia di ultrà della Stella Rossa, i temuti Delije, si sono mobilitati marciando verso l’ambasciata montenegrina, dietro lo striscione «non cediamo i nostri luoghi sacri». Tifosi che hanno urlato «serbi e russi, fratelli per sempre» e «Milo (Djukanović, presidente montenegrino, ndr.) shiptar», spregiativo per albanese, tentando poi senza successo di bruciare con dei fumogeni la bandiera montenegrina issata sull’asta della sede diplomatica di Podgorica.

La sede non sarebbe stata adeguatamente protetta dalla polizia serba. «Si è trattato di un altro incivile attacco contro l’ambasciata e la bandiera», ha attaccato Marković, aggiungendo che il Montenegro – causa proteste in casa e all’estero – sarebbe oggi addirittura «di nuovo di fronte a sfide alla sua indipendenza e libertà». Premier che ha ricevuto il sostegno dell’ambasciatrice Usa a Podgorica, Judy Rising Reinke, che ha bollato gli attacchi alle ambasciate come «inaccettabili». È lo stesso aggettivo contenuto anche in una durissima nota di protesta che ieri Podgorica voleva consegnare all’ambasciatore serbo in Montenegro, Vladimir Božović.

Non è comprensibile come «gli organi di sicurezza della Serbia non abbiano fatto nulla per fermare l’attacco ai simboli statali montenegrini», ha accusato il ministero. La nota non è stata accettata dalla feluca serba. E lo stesso ha fatto l’ambasciatore montenegrino a Belgrado, a cui è stato contestato che Podgorica abbia ingiustamente dato la colpa a Belgrado «della crisi in Montenegro». Contemporaneamente, il presidente Vučić ha assicurato che l’ambasciata di Podgorica non sarebbe mai stata a rischio. «Noi non vogliamo fare guerre, né litigare con voi, ma non mentite al vostro popolo che la vostra indipendenza sia a rischio», ha aggiunto Vučić, mentre il ministro degli Esteri Dačić ha accusato Podgorica di cercare «alibi». Toni più moderati quelli del ministero degli Esteri serbo, che ha condannato ieri l’azione degli ultrà che va a «danneggiare l’immagine della Serbia» e fa il gioco di «chi vuole che la responsabilità della crisi in Montenegro cada sulla Serbia».

Fra essi potrebbero essere annoverati i 120 firmatari di una lettera aperta che accusa la Serbia di voler usare la legge sulle chiese come pretesto per «minare» l’indipendenza del Montenegro e «la pace nella regione». Sono intellettuali, storici e politici di tutti i Balcani, tra cui l’ex presidente sloveno Milan Kučan e l’ex capo di Stato croato, Stjepan Mesić. —


 

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