Legge sui Porti, nella bozza il punto franco non c’è più
Il senatore responsabile della 'dimenticanza': "Rimedieremo". Grillo (Pdl) che ne è l’estensore: "Modificheremo in corsa". L’Authority allarmata ha subito scritto al ministro Matteoli
TRIESTE
. L’omissione o la dimenticanza di poche righe, nella bozza della riforma nazionale del sistema portuale, innescano un autentico “giallo”. Con al centro lo status di porto franco di Trieste. Cioè quello definito dall’allegato VIII del Trattato di pace di Parigi del 1947 e tutelato ulteriormente dal Memorandum di Londra del 1954. Un regime che la legge sui porti, la numero 84 del 1994, aveva recepito al comma 12 dell’articolo 6, in un passaggio che però oggi non si trova più nello scritto provvisorio che, nella sua futura veste definitiva, dovrebbe andare a rinnovare queste stesse disposizioni normative. Ogni riferimento alla specificità di Trieste è sparito dal testo che è ancora fermo sul tavolo del Comitato ristretto dell’ottava Commissione permanente del Senato, quella competente su lavori pubblici e comunicazioni. Si tratta infatti di un atto di iniziativa parlamentare. Trieste rischia forse di vedersi togliere la sua storica veste di porto franco e tutti i vantaggi connessi, in primis quello dell’appeal generato da una “libertà di commerci” ben superiore alle altre zone franche?
LA LETTERA
. Così, allarmato, il presidente dell’Autorità portuale Claudio Boniciolli ha deciso di prendere carta e penna e di scrivere direttamente al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli. «Rilevo che nelle ultime bozze del testo di riforma della legge 84/94 - recita la missiva - è scomparso dall’articolo 6 il comma 12 che recita: “è fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste”...». Poche righe di cui si sono perse le tracce e che per questo generano una grande preoccupazione in seno all’Authority. «Per quanto superfluo - scrive Boniciolli -, desidero farle presente che se tale omissione dovesse permanere nel testo definitivo l’Autorità portuale e gli operatori del porto di Trieste si vedrebbero costretti ad azioni di ricorso presso gli organi competenti nazionali ed europei, in quanto il Trattato di pace del 1947 - da cui deriva il comma citato - è antecedente a quello istitutivo della Cee e fa parte dell’Ordinamento dello Stato italiano e dell’Ue». Governo, avvisato, insomma: se necessario, sarà battaglia a suon di carte bollate.
IN DICEMBRE
. Il 10 dicembre del 2009, l’ottava Commissione permanente del Senato aveva deciso di adottare come base su cui lavorare la proposta di testo unificato licenziata dal Comitato ristretto. All’interno, il comma 12 dell’articolo 6 viene così rimpiazzato dal comma 10 del nuovo articolo 7: «È fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi esistenti. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Autorità portuale territorialmente competente, con proprio decreto, stabilisce l’organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti». Del precedente richiamo a Trieste, neanche l’ombra. Ma il senatore del Pdl Luigi Grillo, presidente della commissione, getta acqua sul fuoco: «Modificheremo il testo, recupereremo il tutto, nessun problema. Boniciolli può stare tranquillo, non c’è niente di approvato. Mi ha già scritto tre lettere...». Che fin qui, evidentemente, non hanno prodotto risultati concreti.
DA ROMA
. Tra i membri componenti della commissione c’è anche un parlamentare triestino, il tramite ideale per evitare equivoci e per fare un po’ di chiarezza: il senatore Giulio Camber. Ieri, però, cercato ripetutamente, l’esponente del Pdl ha fatto sapere solo di non voler rilasciare «nessun commento allo stato attuale» delle cose. Ci pensa allora l’uomo di governo triestino, il sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia a provare a tranquillizzare in primis Boniciolli parlando di semplice «dimenticanza, che si può correggere». «La bozza Grillo è di origine parlamentare - continua Menia -. Il ministero e il governo non hanno responsabilità. In ogni caso, il tutto diventerà relativo se il progetto del superporto di Unicredit andrà avanti visto che dovranno essere ridefiniti i ruoli dell’Autorità portuale e tutta una serie di altri aspetti. Se il superporto non si dovesse fare, invece, rimarrebbe vigente la salvaguardia dei patti internazionali: pertanto non si potrebbe intervenire sullo status di porto franco speciale di Trieste».
ESTERI
. «Non c’è alcuna volontà del governo di eliminare il porto franco di Trieste»: ne è certo il deputato pidiellino Roberto Antonione, che fa parte della Commissione esteri della Camera. «Nulla di tutto ciò è mai stato accennato a nessun livello. Altrimenti, lo sapremmo visto che la commissione di cui sono membro avrebbe competenza perché si toccano questioni legate ai trattati internazionali. Comunque - conclude Antonione -, è giusto vigilare». Come sta facendo Boniciolli.
VIGILANZA
. E l’atteggiamento del presidente dell’Authority è condiviso dal deputato del Pd Ettore Rosato: «Boniciolli ha ragione. Il porto franco è per Trieste un valore, va difeso. Si tratta di un istituto prezioso, da usare con intelligenza e non si può perdere. Vigileremo affinché governo e maggioranza in Parlamento si rendano conto che, se impostato in questi termini, il lavoro è sbagliato. I traghetti turchi, per fare un solo esempio, scelgono di attraccare a Trieste e non a Monfalcone o a Capodistria per questo status. È emblematico».
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