L’economia rurale cerca la riscossa tutelando il Boscarin e la capra istriana

I progetti portati avanti dall’Agenzia pubblica regionale Azrri. Parlano il veterinario e la professionista coinvolti nelle iniziative 
Giovanni Vale
Il Boscarin
Il Boscarin

PISINO Dopo essere riuscita a salvare il manzo autoctono, l’ormai celebre Boscarin, l’Istria è al lavoro per la capra istriana, simbolo della Regione quasi scomparso dal territorio. Il progetto, portato avanti dall’Agenzia per lo Sviluppo Rurale dell'Istria (Azrri), partirà nei prossimi mesi con l’apertura di un centro genetico a Pisino che farà chiarezza sulle specie animali presenti in Istria.



L’iter che si seguirà è ben rodato, dopo l’esperienza dei bovini. Come si fa dunque a riportare in vita una specie quasi estinta e trasformandola al contempo in prodotto ricercato anche da chef stellati? La risposta a una domanda in apparenza contraddittoria sta nella storia della rinascita del boscarin. «Si stima che prima della rivoluzione agricola che seguì la Seconda guerra mondiale,ci fossero in Istria tra i 50mila e i 60mila capi di boscarin, usati per il lavoro nei campi», spiega Edmondo Šuran, responsabile del Centro per lo sviluppo dell’imprenditoria rurale all’Agenzia per lo Sviluppo Rurale dell'Istria (Azrri), azienda di proprietà pubblica fondata nel 2003 dalla Regione Istria. «Nel 1989/1990, quando si scoprì il rischio di estinzione della razza, si contavano 104 femmine e 4 o 5 tori, e nei primi Duemila, quando è iniziato il nostro progetto, il totale di capi non superava i 450».

Nato a Pola nel 1973, veterinario, Šuran parla in perfetto italiano, con entusiasmo, del suo contributo all’«operazione boscarin». Questa razza storica, usata al tempo della Serenissima per trasportare i tronchi del bosco di Montona fino alla costa (il nome del paesino di Carigador ricorda l’attività di carico del legno sulle imbarcazioni alla volta dell’Arsenale di Venezia), è oggi presente in circa 2mila esemplari ed è sempre più popolare tra contadini e allevatori.

«Il boscarin stava scomparendo perché aveva perso la sua utilità: la meccanizzazione dell’agricoltura lo aveva reso superfluo nei campi e la sua carne era ritenuta troppo dura tra i ristoratori», dice Šuran. Gli incentivi del governo croato (1000 euro l’anno per ogni mucca, scesi a 300 dopo l’ingresso nell’Ue nel 2013) non erano bastati.

«Abbiamo capito che gli allevatori non ce l’avrebbero fatta da soli, la passione di molti di loro per il boscarin non sarebbe bastata». Per salvare la specie si è dovuto reinventare il ruolo economico dell’animale. Azrri, racconta Šuran, ha iniziato ad acquistare dagli allevatori i capi adulti pagandoli «il 30% o 40% in più della media di mercato» e al fine di produrre carne. A oggi manca in Istria un’azienda specializzata nella macellazione delle mucche autoctone e nel trattamento e commercializzazione della carne: solo l’Agenzia dà questo servizio. Nel 2019 Azrri ha ritirato 170 bovini e realizzato in totale 20 tonnellate di carne venduta all’ingrosso e 15 di prodotti trasformati venduti all’ingrosso o al dettaglio. La comparsa di questo nuovo attore economico nella realtà rurale istriana ha contribuito ad accrescere il valore del boscarin.

Ma senza un lavoro di educazione e sensibilizzazione fra ristoratori e albergatori, la carne del boscarin non sarebbe decollata. Qui s’inserisce l’attività di Jesenka Kapuralin, classe 1978, originaria di Pola ma laureata in Scienze e tecnologie alimentari a Milano (ha doppia cittadinanza italiana e croata), oggi responsabile a Pisino del Centro Azrri per l’educazione e collaborazioni europee e istituzionali. «Abbiamo imparato molto dall’Italia su come si valorizza un prodotto locale tradizionale e come si incentiva il settore privato a usarlo», dice Kapuralin. Tra progetti europei e Interreg Italia-Croazia, l’Agenzia ha realizzato più di 150 laboratori con cuochi da tutta Europa, coinvolgendo ristoranti, hotel locali e scuole alberghiere. «L’obiettivo era educare quanti lavorano nella filiera del boscarin alla preparazione e presentazione di questa carne». Così in uno spazio da 150 metri quadri si svolgono corsi di cucina e incontri e dove anche i turisti possono mettersi ai fornelli. Il manzo istriano è nei menù dei ristoranti più quotati della regione; e presto l’Ue dovrebbe riconoscerne la Denominazione d’origine protetta. Un successo per l’Azrri, il cui fine è far sì che nelle aree rurali dell’Istria si possa ancora vivere di agricoltura e allevamento. Ora Azrri vuole replicare il progetto adattandolo alla capra (e in futuro all’asino e alla pecora istriana): «Ne rimangono 60–70 esemplari malgrado sia il simbolo della regione», dice Šuran. Ma se il progetto avrà il successo registrato per il Boscarin, non c’è da temere. —
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo