Leader delle strutture in acciaio

Lo stabilimento di Monfalcone è uno degli otto che Cimolai, azienda nata a Pordenone e divenuta negli anni leader nella costruzione di grandi strutture in acciaio, possiede in Italia. Ed è quello di maggiori dimensioni: 278.000 metri quadri di superficie totale di cui 46.700 coperti. Il sito del Lisert può inoltre contare sull’affaccio diretto alla banchina di Portorosega (tant’è che Cimolai è diventato il quinto operatore portuale nel 2015). Un “di più” logistico che ha consentito alla realtà industriale di non morire e continuare a fornire occupazione lungo buona parte dei suoi 40 anni esatti di vita. Lo stabilimento nasce infatti nel 1976 come Acciaierie Alto Adriatico, per iniziativa del gruppo Maraldi, sulla spinta dell’azione intrapresa dal Consorzio industriale per diversificare la “monocultura cantieristica” di Monfalcone e a fronte della disponibilità di finanziamenti agevolati (9 miliardi di lire per le Acciaierie dal Frie).
Il sito produce laminati, dopo che cinque anni prima era entrata in attività a poca distanza l’acciaieria Si.Mo. (Siderurgica Monfalconese), per volontà in questo caso di imprenditori veneti, titolari delle Ferriere Trevigiane. La presenza del nuovo stabilimento dà corpo quindi al progetto di creare nel Lisert un vero e proprio polo siderurgico. Peccato che la recessione e quindi il calo nella domanda di acciaio, in Italia e a livello mondiale, siano quasi contemporanei, all’avvio della produzione delle Alto Adriatico. Lo stabilimento entra in difficoltà solo un anno dopo, nel 1977, ma dopo periodi difficili, con ampio uso della cassa integrazione e della mobilità, rimane aperto riconvertendosi in Officine Maraldi, specializzate in carpenteria pesante. Perlomeno fino al 2002, quando la realtà industriale viene acquisita dall'emiliana Fantuzzi Reggiane e inizia a produrre enormi gru portuali. Pure in questo caso, come prima per Maraldi, la contiguità della banchina portuale rimane un valore aggiunto, anche se, ancora una volta, l’occupazione non raggiunge i livelli annunciati (oltre 200 addetti “promessi”), fermandosi sotto il centinaio di lavoratori diretti.
La crisi scoppiata nel 2008 avrà il suo impatto pure sulla società emiliana e Reggiane alla fine del primo decennio del nuovo secolo entra in difficoltà. Nel 2009 si perfeziona così il passaggio alla Comedil, con sede a Fontanafredda (Pordenone), società della concorrente statunitense Terex che, a settembre del 2011, decide di chiudere Monfalcone. A un mese circa dalla riuscita dell’acquisizione della maggioranza delle quote della tedesca Demag-Gottwald, concorrente diretta dell’ex Fantuzzi Reggiane nella produzione di grandi gru portuali. Terex cessa quindi del tutto l'attività al Lisert nel febbraio 2012. Il sito viene quindi venduto a Cimolai, che perfeziona l’acquisto quattro anni fa, mentre per tutti i 60 dipendenti diretti (che erano affiancati da una novantina di lavoratori dell’indotto) si apre la mobilità concordata. Quelli riassunti dalla società pordenonese non saranno nemmeno cinque in totale.
Nell’ottobre del 2012, in un vertice con il sindaco Silvia Altran, Cimolai aveva illustrato impegni e investimenti per Monfalcone: 22 milioni di euro (13 per il sito e il resto per i macchinari Terex) e occupazione per circa 140 persone, tutti carpentieri specializzati. Per il futuro non venivano esclusi altri investimenti per circa 10-11 milioni di euro. In tre anni e mezzo dalla riapertura a opera di Cimolai, lo stabilimento ha prodotto componenti di grandissime dimensioni come le paratie per il Mose e le strutture per il “refitting” del ponte Bayonne di New York o, all’inizio del 2016, alcune strutture destinate alla Torre A del nuovo complesso Hudson Yards nel West Side di Manhattan.
La vicinanza al mare e soprattutto al porto hanno permesso di trasportare senza grandi difficoltà le strutture attraverso le poche centinaia di metri che corrono tra stabilimento e banchine portuali. La società ha dal canto suo colto l'occasione offerta lo scorso anno dalla Regione di diventare il quinto operatore portuale, nonostante il grido di allarme delle imprese che lavorano attualmente nello scalo (Marter, Midolini, Cetal e Compagnia portuale).
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo