Le ultime ore di don Maks. Aveva programmato tutto
La corda è sempre lì, appesa a una trave di legno della soffitta. In parrocchia nessuno se la sente di toccarla e toglierla, perché il dolore è ancora troppo forte. La scomparsa di don Maks, il sacerdote accusato di pedofilia che si è impiccato in canonica martedì 28 ottobre, ha lasciato l’angoscia a S.Croce. Tutto è rimasto così, avvolto dalla penombra e dalla polvere, come quel pomeriggio di una decina di giorni fa, quando a trovare il corpo erano stati il vescovo e il sacrestano. La comunità cerca di vivere il dramma nel silenzio, come del resto aveva fatto il sacerdote nelle sue ultime ore. Chi aveva incontrato il parroco, quei giorni, aveva notato un comportamento più schivo del solito. Lui non aveva confidato nulla, ma oggi qualcuno ricorda di aver scorto nel volto il desiderio di dire qualcosa. «Come se cercasse un contatto», riflette uno del paese. «Diceva… parleremo…».
Don Maks era solo con il suo dolore, con il peso di quella denuncia per una storia di diciassette anni fa. Avrebbe ammesso le proprie responsabilità sabato 25 ottobre in un colloquio con il presule che si sarebbe svolto nel palazzo vescovile in Cavana. Giampaolo Crepaldi non ha esitato ad applicare le norme vaticane che, per un sacerdote, impongono la rimozione degli incarichi. Martedì l’arcivescovo era venuto a S. Croce per ritirare la lettera di dimissioni del prete e una memoria scritta di perdono, ma ha trovato il cadavere. Suard, per il suo addio, aveva scelto di indossare una giacca verde tipica dei costumi sloveni e austriaci, quasi a rimarcare la propria identità. Cosa gli sia passato per la mente nessuno lo saprà mai. La sera prima Maks aveva cenato da una famiglia.
«Era triste, taciturno…». A un certo punto il prete ha pronunciato una frase strana: «Anch’io posso morire prima». Aveva programmato tutto. Aveva anche dato disposizioni ai parrocchiani affinché, nei giorni successivi, si occupassero di alcune commissioni che generalmente faceva lui. Le testimonianze portano a martedì pomeriggio: sono le 16 e 30, il vescovo è a S.Croce, accompagnato dal segretario. È solo lui, Crepaldi, che cerca di entrare in canonica. È chiusa, ma dalla strada si nota che dentro la luce è accesa. Il presule prende il cellulare e chiama ripetutamente Suard. Niente. Il presule contatta il sacrestano, che accorre subito e apre. Sulla porta dell’ufficio un mazzo di chiavi, la stufa è in funzione. Forse Maks è in legnaia, in orto o in cantina. Ma il sospetto che sia successo qualcosa, forse un malore, comincia a farsi largo quando anche in cucina non trovano nessuno.
Crepaldi e il sacrestano decidono di salire al secondo piano, per raggiungere l’appartamento. Percorrono una scalinata, sul passamano sono appese due bandiere, una slovena e l’altra austriaca. L’arredamento è essenziale: una scrivania, su cui ora è appoggiata una valigia con dei vestiti, un computer e una foto. Di Maks non c’è traccia. Sul lato c’è un’altra rampa, Crepaldi prende l’iniziativa: «Cosa c’è su? Andiamo a vedere». Le scale portano a una mansarda buia, l’ingresso è aperto. Quando la luce si scalda prendono lentamente forma le sagome di mobili vecchi, libri, quadri, oggetti liturgici antichi. E un’ombra, come un cappotto appeso.
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