Le tre soccorritrici: «Quell’uomo la inseguiva. Lei gridava ed era ferita»

Parlano le tre giovani che si trovavano a bordo dell’autobus sul quale è salita per salvarsi la 17enne vittima dell’aggressione alla stazione

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Lasorte Trieste 10/05/17 - Stazione FS, Vagoni

«Aiuto, quell’uomo ha tentato di stuprarmi!». È stato questo il grido disperato della diciassettenne aggredita da Mekail Govand che martedì notte, salendo sull’autobus, ha indicato a tutti i passeggeri l’uomo che poco prima l’aveva picchiata tentando di costringerla a un rapporto sessuale. Giulia Di Pietro, Elisa Agosti e Elisa Zugan, rispettivamente di 20, 18 e 19 anni, sono le tre ragazze che quella sera hanno soccorso la giovane aggredita dall’iracheno. «Lui la inseguiva - ricordano - e lei correndo, stravolta e ferita, è riuscita a salire sull’autobus puntando il dito verso il suo aggressore». Mentre lui continuava a sfidarla con lo sguardo.

L'incontro. Le tre inseparabili amiche quella sera attendevano che l’autobus partisse da piazza Oberdan alla volta di Largo Barriera. «È salita subito dopo di noi sull’autobus delle 22.26 - ricorda Giulia -, era piena di lividi, le ginocchia sbucciate, sanguinanti e non appena ha visto che sul bus c’era un ragazzo che conosceva, un amico, gli si è aggrappata al collo gridando e indicando l’aggressore che solo a quel punto è scappato». Le tre ragazze, quel ventiseienne iracheno, l’hanno visto molto bene. A tal punto che più tardi, quella notte, la loro descrizione è stata decisiva per consentire alle forze dell’ordine di rintracciarlo poi in poche ore.

Lasorte Trieste 10/05/17 - Via della Scalinata
Lasorte Trieste 10/05/17 - Via della Scalinata

La descrizione dell'aggressore. «Era alto, magro, con i capelli scuri rasati ai lati e sopra più lunghi tipo con una cresta - descrivono -, aveva un giubbotto nero e pantaloni scuri e dalla ragazza abbiamo appreso che aveva un tatuaggio sul braccio». «Quello che ci ha colpito e che deve far riflettere tutti - sottolineano - è che nessuno sull’autobus si è preoccupato per quella giovane, nessuno ha pensato di chiamare i soccorsi o di capire cosa le fosse successo realmente. Persino il ragazzo al quale si era aggrappata - continuano -, dal quale cercava di trarre conforto e rifugio, quasi infastidito l’aveva scostata e si era allontanato da lei».

I soccorsi. È in quel momento che è iniziato il contatto tra le tre amiche e la ragazzina. «Le abbiamo dato dei fazzolettini di carta affinché potesse tamponare le ferite sanguinanti - ricordano - e chiesto se avesse bisogno di aiuto o se volesse venisse chiamata la polizia ma lei ci ha detto di lasciar perdere perché doveva correre a casa per portare da mangiare al fratello». Ma a Di Pietro, Agosti e Zugan le condizioni della giovane non convincevano: «Quando siamo scese tutte e quattro in Largo Barriera - ricorda Giulia - lei si è incamminata verso via Molino a Vento e noi a distanza la seguivamo con lo sguardo fino a che a un certo punto è crollata a terra e noi siamo intervenute». In una trasversale di via Molino a Vento una volante della polizia stava facendo un altro intervento. «Due di noi sono rimaste a soccorrere la ragazza - riferiscono le tre amiche - mentre l’altra è andata a chiedere aiuto ai poliziotti che sono subito intervenuti chiamando anche il soccorso sanitario».

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La testimonianza. Mentre attendevano l’arrivo del personale sanitario del 118, le ragazze hanno raccolto la testimonianza della diciassettenne. «Ci diceva che era stata colpita alla testa con una spranga, più e più volte, - ricorda Giulia Di Pietro - che le faceva male, che vedeva tutto nero e anche per questo cercavamo di farla parlare e di tenerla vigile». Alle tre coraggiose ragazze la giovane ha dato una versione della vicenda molto simile a quella riferita poi agli agenti della polizia. «Ci ha riferito di aver soccorso un ragazzo disteso a terra in piazza Oberdan - spiegano le amiche -, di essersi resa disponibile a chiamare i soccorsi ma che lui ha preferito venir accompagnato a casa perché doveva recuperare alcune cose». Da lì l’arrivo al vagone e poi l’aggressione. «Io ho cercato di aiutarlo e le botte violente sono state il suo modo per ringraziarmi», avrebbe detto la diciassettenne alle sue soccorritrici. Un interrogativo: nessuno prima dell’approdo a bordo dell’autobus ha visto quell’uomo rincorrere quella donna tra la Stazione, via Ghega e piazza Oberdan?

«Siamo fiere di quanto abbiamo fatto - dichiarano le tre amiche -, almeno ora quella bestia è in carcere. Quando qualcuno è in difficoltà, ancor di più se è una donna - concludono -, è giusto fare il proprio dovere e non girare lo sguardo dall’altra parte».

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