Le strade deserte e i triestini in hotel nella strana notte di San Silvestro

Viaggio nel capoluogo regionale nelle ore in cui fino a 12 mesi prima la città si riempiva per festeggiare il nuovo anno 
La piazza deserta (Foto Lasorte)
La piazza deserta (Foto Lasorte)

TRIESTE. Soltanto una bottiglia di gin. «Più mezza di prosecco, in frigo. Non abbiamo altro alcol per festeggiare nelle prossime ore». Tre ragazze attraversano senza fretta piazza Hortis. Stanno rientrando a casa dopo il turno di lavoro in un locale aperto per le consegne, in una notte di San Silvestro spogliata di ogni entusiasmo. «Ce ne staremo tranquille, berremo qualcosa. E poi tutte a dormire. Sperando che l’anno prossimo si torni a celebrare come sempre, con i calici in piazza».

Fantasticare su un futuro in cui questa atmosfera sarà solo un ricordo è il vero spirito di festa. Lo è credere che Dpcm, distanziamento e bollettini delle 18 smetteranno di essere il filtro attraverso cui leggere la realtà. «Forse per qualche tempo la paura ci resterà addosso. E anche se non ci saranno più rischi, verrà spontaneo rimanere a distanza l’uno dall’altro. Ti ricordi – confabulano le amiche tra loro –? L’anno scorso, in questo momento, eravamo a guardare i fuochi d’artificio, schiacciate contro un sacco di gente sconosciuta. Sembra tutto così assurdo».

Ma assurdo non è abbastanza per descrivere una Trieste sfibrata dalla solitudine, dove per sentire qualche suono occorre impegnarsi, tendere l’udito allo sfrigolio elettrico che proviene dalle lucine attorcigliate agli alberi di Natale. O passeggiare tra le vie più caotiche, dove ogni finestra ha una canzone diversa da sussurrare. Qualcuno dai balconi canta a squarciagola “Acqua e sale”, qualcun altro fa rimbombare dalle casse le hit dell’intramontabile dance anni Novanta. Ma è un vociare estemporaneo, pochi secondi di audio in una notte muta. Eppure c’è chi trova dei lati positivi.

«La città stanotte è una meraviglia. Erano molti anni che non riuscivo a sentire dalle strade del centro il canto degli uccellini», racconta una signora, la figura fasciata da un lungo cappotto scuro, le mani impegnate a tenere il cagnetto al guinzaglio. «Ho una certa età, è normale che non mi interessi festeggiare. Capisco che per i giovani sia più dura». Forse, ma non per forza. In questa notte di San Silvestro ridotta all’osso, la sostanza delle celebrazioni è più una questione di fantasia. E di volontà.

«A noi è andata molto meglio così – spiega una coppia che cammina a braccetto lungo via Torino –. Siamo di Trieste, ma entrambi viviamo coi genitori. Per questo abbiamo deciso di prenotare una stanza in hotel. Il tempo di fumarci una cicca e rientriamo in camera», aggiunge lei, sventolando il badge dell’albergo come fosse un’autocertificazione, quasi sentisse il bisogno di dimostrare la bontà del suo racconto.

Poco lontano dalle loro sagome, i semafori dei viali continuano a fare il loro dovere. Scattano dal rosso al verde, si ostinano a mettere ordine a un traffico di cui non c’è traccia. Le strade sono così vuote che qualche cuor di leone si lancia in video e selfie a cavallo delle carreggiate. E solo quando da piazza Unità echeggia nitido il timbro della mezzanotte, qualche petardo comincia a esplodere. Le nubi di fumo generate dai botti si addensano sospese nell’atmosfera, avvolgono le lanterne volanti che alcuni genitori fanno spiccare in volo per dare ai figli una parvenza di magia.

«Quest’anno è stato un San Silvestro senza troppa confusione. Speriamo valga a qualcosa – racconta un giovane papà vicino a piazza Garibaldi, la cui voce è coperta dalle grida felici dei figli –. I bambini esprimono la gioia che noi adulti non riusciamo ad avere. Dobbiamo fare il possibile per continuare ad alimentarla, nonostante tutto». 


 

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