Le sorelle scrivono allo Stato: "Adesso fate morire Ramon»
MONFALCONE Ramon Polentarutti, scomparso, emerso dal canale Valentinis in brandelli di ossa. E ad oggi ancora vivo per la burocrazia. La storia del 40enne monfalconese sembra non interessare nessuno. Non c’è un assassino a scontare la pena in carcere. Non c’è neppure un certificato che ne attesti la morte. E c’è una famiglia, le sue sorelle, che continuano a soffrire. Perché tutto questo? Forse Ramon non è degno di attenzioni? Se lo chiedono i familiari, le quattro sorelle che ora hanno scritto una lettera aperta al ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Una decisione chiara, affidandosi al legale Ilaria Celledoni. La missiva passa puntigliosamente in rassegna il loro “calvario”.
Oggi c’è un fascicolo aperto per omicidio volontario. Dalle indagini non giungono segnali, scrivono le sorelle. Per loro è un dolore kafkiano. Il vuoto, come un fiume carsico, erode l’animo. Al ministro Orlando scrivono: «Ramon aveva 40 anni e una vita turbolenta. Forse per questo non vi è stata particolare attenzione». Le sorelle hanno il cuore spezzato: «Vogliamo che le indagini vadano avanti, che si scopra chi è il brutale assassino di nostro fratello». Chiedono giustizia: «Nostra madre nel frattempo è morta senza sapere cosa è accaduto al suo unico figlio maschio». Chiedono che Ramon venga dichiarato morto.
«Ad oggi - è un altro forte passaggio della lettera - Ramon risulta ancora vivo poichè nessuno dalla Procura ha provveduto a comunicare al Comune di Monfalcone la sua morte. Sono passati quasi 4 anni dal ritrovamento delle sue ossa, non si tratta di parti del corpo senza cui nostro fratello potrebbe vivere comunque e noi vorremmo che almeno questo “problema” sia risolto». Non è solo una semplice “presa d’atto”, anche questo lo spiegano le sorelle di Ramon quando scrivono: «Nostra nipote è minorenne e sua madre deve combattere con la burocrazia che spesso chiede la firma del padre per la gestione della minore». Tutto questo è diventato un limbo insopportabilmente lungo: «Siamo preoccupate che il caso di nostro fratello venga dimenticato». Passaggi che si concludono con un appello finale al ministro: «Considerata la situazione, ci auguriamo che vorrà intervenire per sbloccare questa incresciosa situazione e aiutarci a capire chi ha ucciso nostro fratello».
La missiva sviscera l’intera vicenda. La scomparsa da casa del fratello il 14 aprile 2011. La denuncia della madre. «Ma gli inquirenti - scrivono le sorelle - per molto tempo hanno pensato si trattasse di allontanamento volontario e lo hanno cercato solo superficialmente». Quindi quel sacco nero ripescato nel Valentinis, il 2 novembre 2012, da alcuni operai addetti alla pulizia dei filtri della centrale A2A: ossa bruciate e segate. Qualche giorno dopo, l’estrazione del Dna che comparato con quello della madre ne accertò l’identità: «Era il 10 gennaio 2013. Scompariva così qualsiasi speranza di trovare nostro fratello vivo». Poi le procedure giudiziarie. Il procedimento contro ignoti per sottrazione, distruzione e occultamento di cadavere, per il quale era stato indagato Roberto Garimberti, vicino di casa di Ramon al tempo della scomparsa. L’avvio delle indagini il 3 giugno 2013 nell’abitazione di Garimberti. Furono prelevati alcuni frammenti di ossa, «oltre a tutti gli strumenti - precisano - che potevano essere utilizzati per lo smembramento del corpo di nostro fratello». Intervenne anche il cane molecolare. «Ma nulla confermò che le ossa erano di Ramon, non essendo possibile estrarre del Dna da paragonare a quello di nostro fratello».
Viene ricordata la «tanta trascuratezza da parte degli inquirenti», durante la perquisizione all’abitazione di via Carducci, a seguito della denuncia della compagna di Ramon, perché il padrone di casa non le lasciava ritirare le sue proprietà: «Fu trovato il cellulare di nostro fratello». E ancora, quello strano «falò» nel giardino di via Carducci, che «emanava un cattivo odore, quasi di carne bruciata. Anzichè verificare quanto stava accadendo - scrivono le sorelle -, la Polizia si limitò a prendere nota del fatto».
La richiesta di dichiarazione di morte di Ramon da parte delle sorelle risale all’agosto 2013: «Il pm di allora suggerì di chiedere il nulla osta al seppellimento. Il nostro legale sollevò la necessità di trattenere le ossa trovate nel Valentinis come prova, ma il pm insistette su quella linea». Richiesta che le sorelle depositarono, ma che fu «correttamente» respinta dal sostituto procuratore che subentrò al pm, trasferitosi a Treviso. La vertenza passò ancora di mano. Finchè fu assegnata al pm Laura Collini, che aprì il procedimento per omicidio volontario. «Da allora - scrivono le sorelle - non abbiamo saputo più nulla delle indagini in corso, mentre sappiamo che l’immobile in cui sono state effettuate le prime indagini è stato dissequestrato e venduto».
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