Le scoperte di Mendel e i piselli presi per ricordo dalle piante cresciute nel suo monastero

Mauro Giacca
Mauro Giacca
Mauro Giacca

TRIESTE Se vi capita di andare a Brno, nella Repubblica Ceca, oltre al campo della battaglia di Austerlitz subito fuori città, un appuntamento da non perdere è il monastero dove Gregor Mendel ha vissuto e compiuto i suoi studi. È un posto semplice e austero, ora trasformato in un museo con un’affascinante esposizione in cui sono spiegati gli studi del frate agostiniano che ha fondato la genetica come la conosciamo oggi.

Proprio la scorsa settimana, il 22 luglio, si sono celebrati i 200 anni dalla nascita del monaco geniale. Darwin e Mendel sono di fatto vissuti nella stessa epoca. Darwin, nato nel 1905, aveva pubblicato la sua prima opera importante (“Sull’origine delle specie”) nel 1859, Mendel aveva presentato il suo lavoro “Esperimenti con le piante ibride” alla Società di Storia Naturale di Brno nel 1865. Entrambi cercavano di capire quali fossero le leggi della natura che regolano i meccanismi dell’eredità, in un’epoca in cui nulla si sapeva di cromosomi, genomi e DNA. Ma se entrambi condividevano la medesima curiosità, i loro approcci erano stati quanto mai differenti.

La curiosità di Darwin era stimolata dall’idea brillante che le nuove specie si generassero attraverso la selezione imposta dalla natura, in cui gli individui competono per l’accesso alle risorse di un ambiente che continuamente cambia. Il lavoro di Mendel era invece più pratico: capire quali fossero le regole che trasmettevano l’eredità di generazione in generazione. In questo senso, il lavoro di Darwin è più affine alla filosofia, quello di Mendel agli studi di biologia molecolare che ancora portiamo avanti nei laboratori. Darwin sembra appartenere a un’epoca diversa, Mendel è del tutto moderno.

Lo studio che Mendel presentò nel 1865 riguardava le conclusioni che aveva tratto dalle ricerche compiute nel giardino del monastero di Brno tra il 1850 e il 1960 incrociando piselli con diverse caratteristiche. A partire da 22 piante del comune pisello e usando la pollinazione manuale, Mendel aveva incrociato le piante per generazioni successive, fino a generate oltre 10mila piante in 8 anni consecutivi.

Ad ogni generazione, classificava le piante a seconda delle loro caratteristiche, quali il colore, la forma dei semi e la posizione dei fiori. Studiando questi dati con una passione quasi ossessiva per i numeri, Mendel aveva scoperto che alcune delle caratteristiche (ad esempio, la forma e il colore) sono trasmesse direttamente da una generazione all’altra, mentre altre possono saltare una generazione.

È a lui che dobbiamo i termini “dominante”, per indicare un carattere che determina in ogni caso il fenotipo dell’organismo che lo porta e “recessivo”, per definire invece una caratteristica che si palesa soltanto in assenza di un carattere dominante. Sono questi i termini che usiamo nei laboratori di genetica ancora oggi per definire l’ereditarietà delle oltre 7mila malattie dovute alla mutazione di un singolo gene, che chiamiamo appunto “malattie con eredità mendeliana”.

Ad esempio, la fibrosi cistica è una malattia recessiva, perché entrambe le copie del gene responsabile devono essere mutate affinché la malattia si manifesti in un bambino, mentre i suoi genitori che portano una copia normale del gene insieme a quella mutata sono sani; l’ipercolesterolemia familiare, invece, è una malattia dominante, perché basta che una sola delle due copie sia mutata per aumentare in maniera patologica il livello del colesterolo nel sangue.

Come spesso accade, l’opera di Mendel non fu completamente apprezzata dai contemporanei ed era forse troppo radicale per essere capita del tutto a quei tempi. Sfortunatamente, alla sua morte le sue note vennero bruciate, privandoci dei dettagli delle sue ricerche. Ancora peggio, i suoi studi furono riscoperti in maniera scorretta e irresponsabile un decennio dopo la sua scomparsa e furono usati per sostenere i concetti di eugenica e superiorità razziale, secondo cui gli esseri umani possono essere migliorati con un processo di incrocio selettivo. Ma la scoperta dei cromosomi prima e del DNA un secolo più tardi alla fine hanno ridato a Mendel il posto che merita nell’Olimpo della scienza.

Quando qualche anno fa ho avuto la ventura di visitare il monastero di Mendel a Brno, ero rimasto colpito al vedere che, nell’orto, crescevano ancora piante di pisello, con i loro bacelli bene in vista. Ne avevo portato qualcuno a Trieste e ne avevo piantato i semi. Era stato emozionante vedere germogliare quei diretti discendenti delle piante su cui Mendel aveva compiuto i suoi studi.

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