Le nozze gay alla triestina diventano un caso nazionale
TRIESTE. Il caso delle unioni civili che a Trieste si devono celebrare durante la settimana, in orario d’ufficio, e fuori dalla sala matrimoni conquista i riflettori nazionali. E lo fa con il segretario nazionale di Arcigay Gabriele Piazzoni che annovera il capoluogo del Friuli Venezia Giulia tra gli esempi più «eclatanti» di «ostruzionismo becero» e annuncia ricorsi alle prefetture. Il Comune di Trieste, però, tira dritto e spiega di stare «eseguendo alla lettera le leggi, le norme e i regolamenti». Risponde a distanza l’europarlamentare cinquestelle Marco Zullo che bolla come «anacronistico» l’atteggiamento della giunta Dipiazza.
A Trieste, il caso più eclatante, l’assessore competente Michele Lobianco taglia corto: «Io seguo né più né meno le leggi, le norme e i regolamenti. E secondo questi ultimi le unioni civili sono atti amministrativi che vengono esplicati dagli uffici preposti. Ecco perché l’iscrizione nel registro delle unioni civili verrà fatta all’interno di una sala predisposta proprio per questo genere di procedura». Lobianco aggiunge: «Contrariamente a quel che è stato detto, non è lo spazio in cui si registrano i divorzi, ma è la sala in cui ad esempio si va a giurare per la cittadinanza italiana». L’assessore si dice «dispiaciuto» per il polverone sollevatosi: «La polemica nasce da una mera strumentalizzazione sulla quale non ho altro da aggiungere».
Una tesi, quella del Comune, che probabilmente non convincerà il segretario nazionale di Arcigay intervenuto già ieri: «Sta ormai diventando ricorrente la smania di certi sindaci di conquistare una visibilità attraverso un ostruzionismo becero all’applicazione della legge sulle unioni civili. «Ricordiamo i casi di Padova, di Trieste e di Cascina, finora i più eclatanti. È quantomeno imbarazzante trovarsi a dover ricordare a questi sindaci che è loro dovere rispettare le leggi e che la legge sulle unioni civili inequivocabilmente impone il riferimento a norme e regolamenti relativi al matrimonio». Ecco perché, secondo Arcigay, la posizione del Comune di Trieste è insostenibile: «Non possono esistere né luoghi particolari né giorni particolari per celebrare l’unione tra due persone dello stesso sesso e chi, tra questi sindaci a caccia di visibilità, darà seguito alle pagliacciate che dichiara sui giornali, risponderà dell’abuso dinanzi alla legge, assumendosene a pieno la responsabilità. Per questo Arcigay ha già preso contatto con le prefetture nei territori in cui il problema si è manifestato». Durissima la conclusione di Piazzoni: «Ci preme far notare a questi politici che le loro posizioni rasentano il ridicolo e che perfino buona parte dei conservatori in Europa si vergognerebbe di loro».
Dà man forte l’europarlamentare grillino Zullo: «Quanto sta accadendo a Trieste è inaccettabile, non solo perché di fatto si sta impedendo l’applicazione di quanto previsto dalla legge Cirinnà, ma anche perché si sta ignorando quanto chiesto dal Parlamento europeo nella risoluzione sullo stato dei diritti fondamentali in Europa. È una questione di civiltà, di rispetto della legge, ma prima ancora di rispetto dei diritti fondamentali di tutti». Conclude il parlamentare: «La giunta triestina, anziché pensare ad ingaggiare battaglie di retroguardia perse in partenza contro alcuni dei propri cittadini, farebbe meglio a concentrarsi su tematiche gravi e ancora irrisolte come quella della Ferriera». L’associazione radicale Certi Diritti, con Clara Comelli, rilancia: «La vera vittoria sarà il matrimonio egualitario. A quel punto avere la sala matrimoni sarà un gioco da ragazzi».
Vade retro, replica a distanza il capogruppo della Lega nord Massimiliano Fedriga: «L’unione civile non è il matrimonio: giusto quindi distinguere bene le due cose. Il Comune di Trieste fa il suo dovere, senza alcun tipo di livore nè approccio ideologico, interpretando in maniera corretta la legge. Peccato che altrettanto non si possa dire di realtà come Milano, dove si è deciso di intervenire in senso opposto».
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