Le monache di Arbe: sfrattate dal sindaco comunista
TRIESTE Pina, Marina, Scolastica, Benedetta, Zrinka, Nada, Cvetka, Veronika e Angela sono state anch’esse vittime prima delle nazionalizzazioni operate dal regime comunista di Tito e poi delle vendite arbitrarie fatte dalle autorità croate. Sono le nove monache di clausura ospiti del monastero di Sant’Andrea, sull’isola di Arbe.
Non sono recluse dietro le grate, bensì in clausura “monastica” e la loro regola prevede la necessità di mantenersi con il lavoro e il dovere di ospitalità, possono uscire per lavorare, frequentare corsi, recarsi dal medico, andare in pellegrinaggio. Sono però quasi recluse dentro le proprie celle, perché non dispongono più né dei propri ampi terreni circostanti avuti soprattutto con donazioni delle novizie, né dell’edificio che utilizzavano come una sorta di foresteria perché gli appartamenti al suo interno sono stati venduti agli inquilini che li avevano arbitrariamente occupati.
Hanno scritto a monsignor Francesco Casari, delegato apostolico per la Croazia: «Siamo una comunità benedettina in un monastero millenario (risale al XII secolo, ndr) che mai è stato interrotto nella preghiera, nel lavoro e nel sacrificio delle monache. Nel tempo del comunismo ci hanno preso tutto il terreno che avevamo e la casa adiacente al monastero. Il primo sindaco dopo la guerra serbo-croata ha visto che appartiene a noi e ha messo il veto sulla sua vendita. Ma il sindaco attuale, Slavko Antesic, è un comunista che ha venduto subito la casa. È un edificio abbastanza grande. Le monache avevano fatto tanti sacrifici per realizzare questa casa dove nel passato accoglievano le aspiranti e insegnavano loro economia domestica e altre discipline. Il Signore in pochi anni ci ha mandato nuove giovani che vogliono seguire Gesù secondo la Regola tracciata da San Benedetto, e altre attendono di entrare, ma senza la nostra casa noi non abbiamo più posto per accoglierle. Incoraggiate da monsignor Maffeo Ducoli, vescovo emerito di Belluno-Feltre che conosce la nostra situazione e che ci ha già salvate dalla fame, abbiamo deciso di rivolgerci a Lei. Sono già sette anni che siamo in causa, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta».
È una questione che richiama un’altra scottante vicenda di proprietà religiose. Quella di Daila, in Istria che vede contrapposti i Frati benedettini di Praglia in provincia di Padova intenzionati a tornare in possesso della loro tenuta istriana dalla quale furono brutalmente cacciati nel 1948 e le autorità croate che invece non vogliono mollare l’immobile sul mare. È a picco sul mare anche l’edificio delle monache di Arbe. Dopo la promulgazione della legge croata del 1996 sulla restituzione dei beni espropriati nel periodo del comunismo jugoslavo, il convento è stato restituito solo formalmente nella sua interezza alle suore benedettine che non hanno potuto mai rientrare in possesso delle parti sottratte.
Più recentemente il sindaco Zdenko Antesic prendendo a giustificazione una legge croata sul diritto di possesso dell’alloggio ha venduto l’edificio contestato agli occupanti. Si tratterebbe di persone iscritte al suo partito e la vendita sarebbe inoltre avvenuta a prezzi inferiori a quelli di mercato. Ma per poter acquisire gli appartamenti, in base al catasto di proprietà del monastero, gli inquilini hanno dovuto intentare una causa e il tribunale di primo grado della città di Rab ha dato loro ragione.
Le monache hanno dunque fatto ricorso in appello alla Corte di Fiume che però non si è ancora pronunciata. «L’accordo intergovernativo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia - fanno rilevare i legali delle monache - prevede la restituzione dei beni immobili alla Chiesa. É incontestabile che l’edificio sia parte integrante del monastero, da un millennio casa delle Serve di Dio».
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