Le mire della malavita sui piccoli imprenditori del Fvg resi fragili dal Covid

TRIESTE Tra le sfumature giallo arancio del Covid si intravede anche l’ombra grigia delle serrande abbassate e quella nera della criminalità organizzata. Venerdì 29 gennaio, ore 12.43. Walter Zacchini, 61 anni, risponde al telefono con tanta voglia di parlare. Ha un locale in centro a Trieste in via del Lazzaretto Vecchio 3, “La Bottega di Trimalcione”. Sessanta posti a sedere. Vuoti.
Walter sospira e tira fuori i conti del ristorante: «La mia situazione è molto difficile – spiega – ho una perdita di 60 mila euro rispetto all’anno scorso e i contributi pubblici non bastano per andare avanti. A luglio mi sono arrivati circa 6mila euro e altrettanti a novembre... come faccio?».
Per far fronte alle perdite il ristoratore non è ricorso ad alcuna forma di finanziamento, per ora ha preferito dar fondo ai risparmi. «Sto mettendo i miei soldi, ma tanti colleghi mi dicono che non ce la fanno più e chiedono aiuto a banche… o a privati. Non nascondo che anch’io ci ho pensato, ma non me la sento di mettermi supino davanti a un creditore».
Fino a quanto potrà continuare così? Altri non ce la fanno già più. Baristi, ristoratori, gestori di alberghi, piccoli e grandi operatori del turismo. Così a Trieste, nell’Isontino e in Friuli. In regione come altrove. La paura del domani è diventata angoscia.
È in questa fragilità strutturale che si allungano gli appetiti di chi invece la liquidità ce l’ha eccome. Gli appetiti degli usurai. O della criminalità organizzata che deve ripulire denaro sporco e reinvestirlo: i proventi della droga, degli appalti truccati, del contrabbando, della prostituzione e quant’altro rimessi in circolo nel tessuto imprenditoriale legale e sano. Chi fa affari così entra nelle imprese con prestiti convenienti, magari senza interessi né scadenze. Oppure rileva attività sull’orlo del fallimento rimettendole in piedi a colpi di milioni. È il loro “welfare”.

È sintomatico come il Friuli Venezia Giulia, sul fronte del riciclaggio, nel primo semestre 2020 abbia registrato un totale di 889 segnalazioni di operazioni bancarie sospette (+6% sul primo semestre 2019). Lo documenta il report nazionale dell’Uif (Unità di informazione finanziaria per l’Italia): 257 a Trieste, 319 a Udine, 79 a Gorizia, 234 a Pordenone. Ma quanti sono gli imprenditori in regione che in questi mesi di pandemia sono già finiti nelle mani degli usurai o della criminalità organizzata? Quanti sono stati avvicinati, solleticati, convinti? Presto per dirlo.
L’attenzione della Dia e delle forze dell’ordine, a cominciare dalla Guardia di finanza, è alta. «Al momento ci sono situazioni sotto osservazione soprattutto in Friuli», rivela un investigatore. L’ultima operazione è dei Carabinieri e porta a Monfalcone, con l’arresto a dicembre di un napoletano accusato di usura ed estorsione. Era stato denunciato da un triestino, scivolato in una vera e propria spirale di pressanti richieste di denaro.
A livello nazionale il fenomeno è monitorato dal Commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, fino a poco tempo fa retto dall’ex prefetto di Trieste Annapaola Porzio. Il Commissario, braccio del ministero dell’Interno, eroga anche fondi a chi cade nella rete. «Le piccole e medie imprese, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti con partita Iva, proprio a causa della sospensione prima e del rallentamento poi, delle loro attività, costituiscono il comparto economico che soffre maggiormente delle difficoltà in atto e, quindi, più esposte a intimidazioni, usura ed estorsione», si legge nell’ultima relazione. «Il potere di erogazione economica, spesso condotto con modalità oblique, rischia di drogare importanti circuiti economico-finanziari».
Modalità oblique. Drogare il mercato. Di questo si parla. Qualche indicatore locale di cosa sta accadendo, seppur parziale, c’è. Ad esempio lo “Sportello legalità”, aperto a Trieste nel 2014 in convenzione tra la Camera di commercio Venezia Giulia e Libera con l’intento di supportare quanti si trovano in condizioni di indebitamento e di gravi difficoltà economiche, e quindi più esposti all’usura, nel corso del 2020 ha rilevato una crescita del 30% dei casi. Ventun nuovi accessi da maggio a oggi, dunque in piena emergenza Covid. Lavoratori autonomi o piccoli imprenditori, perlopiù, che durante la pandemia hanno perso tutto o gran parte del reddito.
Se i prestiti non vengono erogati dalle banche perché mancano le garanzie, la tentazione a rivolgersi al mercato nero, quindi agli strozzini, è dietro all’angolo. Non a caso Confidi Friuli, che comprende aziende del commercio e dell’industria delle province di Udine e Pordenone, dall’inizio dell’emergenza pandemica ha erogato agli istituti bancari garanzie per 37 milioni di euro a fronte di fidi per 72 milioni. Sono oltre 500 le pratiche presentate. «Il nostro è stato uno sforzo di supporto a imprese che fronteggiano una crisi mai così dura come quella innescata dal Covid», commenta il presidente Cristian Vida.
Confidi Venezia Giulia, dal canto suo, ha messo sul tavolo oltre 31 milioni di euro a favore di 546 imprese, con un importo medio richiesto di circa 65 mila euro. «C’era la necessità di un aiuto tempestivo a bar e ristoranti», concorda il presidente Antonio Paoletti. Servono risposte immediate, insomma. E chiare: Confcommercio Trieste, ad esempio, ora ha intenzione di aprire al più presto uno sportello di ascolto capace di indirizzare gli imprenditori anche nel complicato mondo dei contributi pubblici. Perché se il debito è un tunnel, la burocrazia è un muro. —
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