Le mani dei cinesi sugli autogrill austriaci

Gli attuali gestori sono in crisi. Il gruppo Rosenberg, il più grosso, ha già ceduto la catena a Pechino

UDINE. La prima area di servizio che si incontra in autostrada appena attraversato il confine austriaco dopo Tarvisio è la “Südrast” di Arnoldstein. È lì che abitualmente si fermano molti viaggiatori italiani, perché l’offerta gastronomica non ha confronti con quella dei nostri autogrill. Forse non sarà così ancora per molto, perché la gestione è in crisi. In marzo i 60 dipendenti attendevano ancora lo stipendio di gennaio. La “Südrast” è una delle poche aree autostradali con gestione autonoma (i proprietari sono ristoratori di Villach). Ma anche le altre, che appartengono a catene del settore, sono in sofferenza. Prendiamo il gruppo Rosenberg, per esempio, il più importante: su 90 aree di servizio, su una rete di 2.200 chilometri, ben 19 portano la sua bandierina, con un fatturato di 40 milioni. Ora la bandierina è stata ammainata, perché Rosenberg ha ceduto l’intera catena a investitori cinesi. Va meglio a Landzeit, secondo gestore di aree di servizio: ne ha 14, ma con un fatturato 50 milioni. Al terzo posto si colloca Autogrill, con 13 aree e 17 milioni di fatturato, subentrato qualche anno fa alla catena Wienerwald. Anche Autogrill, tuttavia, dovrebbe avere qualche problema, se è vero che quest’anno ha disdetto il contratto per l’area di Bad Fischau, alla periferia di Wiener Neustadt, in Bassa Austria. Le ragioni delle difficoltà di molte aree di servizio (ma non di tutte) sono riconducibili sostanzialmente a due fattori: sono troppe (una densità record, per gli standard europei) e offrono servizi troppo costosi. Da quando anche in Austria si paga in euro e non più in scellini se ne sono resi conto anche i turisti italiani: 3,80 euro per una Coca cola è un prezzo da rapina. I carburanti, poi, soprattutto in prossimità del confine, possono costare quasi come in Italia (mentre nel resto dell’Austria i prezzi sono inferiori addirittura a quelli della Slovenia). La conseguenza è che i viaggiatori “di lungo corso” – per esempio, gli italiani diretti a Monaco o a Salisburgo – si fermano dove capita e pagano quello che gli si chiede. I viaggiatori austriaci, invece, che fanno i pendolari tra una città e l’altra e conoscono bene i prezzi e il territorio, non si fermano nelle aree di servizio, preferendo uscire dall’autostrada (tanto, con la vignetta si può uscire e rientrare quante volte si vuole) e trovare distributori e bar subito al di fuori dello svincolo, dove tutto costa la metà. Che nelle aree di servizio i prezzi siano maggiorati dipende soprattutto dai costi di gestione: l’investimento iniziale (una decina di milioni) più il canone annuo dovuto alla società autostradale Asfinag (31,3 milioni lo scorso anno). Finché il fatturato complessivo raggiungeva il miliardo, i gestori riuscivano a farcela. Ma la crisi si è fatta sentire e negli ultimi due anni il fatturato è sceso a 760 milioni. L’aumento dei prezzi si è rivelato un boomerang, per cui è chiaro che prima o poi qualcuno si dovrà fare da parte. Autogrill per il momento ha rinunciato a una stazione, Rosenberg a tutte. E intanto i cinesi stanno prendendo posizione.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo