Le imprese che ritornano: produrre in Fvg è meglio

Da Safilo a Snaidero e Lima: la mappa delle 45 aziende nordestine (in regione sono sei) che hanno riportato attività in Italia. Perchè è finita la delocalizzazione
05/09/2014 Santa Maria di Sala, Safilo, azienda italiana attiva nel campo della produzione e distribuzione di occhiali, nella foto le fasi di lavorazione degli occhiali
05/09/2014 Santa Maria di Sala, Safilo, azienda italiana attiva nel campo della produzione e distribuzione di occhiali, nella foto le fasi di lavorazione degli occhiali

MILANO. Addio ai capannoni in Cina, Tunisia e Romania. La fabbrica fa le valigie e torna a produrre in patria. Gli americani chiamano questo fenomeno backshoring o reshoring, per il quale alcune industrie trovano più conveniente la "rilocalizzazione" delle attività produttive che un tempo avevano spostato all'estero.

Era il pallino fisso dell'amministrazione Obama che si è trasformato in slogan elettorale (America First) e poi diktat economico sotto minaccia di dazi per le importazioni della presidenza Trump. Qualcuno ci ravvede i sintomi della fine della globalizzazione e di un ritorno del protezionismo. Tant'è che il viaggio delle industrie verso Est a caccia di lavoro a basso costo sembra davvero al tramonto. E non solo negli Stati Uniti. In Italia, l'Uni-Club Reshoring, consorzio di ricerca di alcuni atenei della Penisola, tra cui quello di Udine, ha provato a vederci chiaro. Ad oggi si parla di almeno 120 casi di aziende che hanno riportato in patria le linee produttive. Di queste 45 sono localizzate nel Nordest, e sei aziende hanno riattivato gli impianti in Friuli Venezia Giulia.

 

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Le motivazioni sono diverse. Nel Far East il costo del lavoro comincia a lievitare. E spesso non ha una qualità all'altezza della manifattura italiana. In bilancio pensano sempre di più le spese della logistica e delle spedizioni. Infine l'automazione promessa da industria 4.0 agevola il rientro delle produzioni in termine di minor addetti assunti rispetto al passato e maggiore produttività. Insomma delocalizzare oggi non vale il prezzo del biglietto. Prendiamo il caso di Safilo che ha imbastito un piano di 60 milioni di euro per riportare buona parte della manifattura in Italia. Uno degli impianti protagonisti del reshoring della multinazionale dell'occhiale è quello di Tavagnacco, in provincia di Udine, che oggi rinasce dopo 8 anni di crisi e di contratti di solidarietà. Da sito di finissaggio lo stabilimento ospiterà tutto il ciclo produttivo, producendo quindi l'occhiale nella sua interezza. La scommessa dell'azienda, impensabile fino a qualche anno fa, fa leva sull'automazione industriale e sugli investimenti in innovazione dei processi. Ecco industria 4.0 che esce fuori dai convegni per fare dimostrazione di forza dentro i capannoni.

Anche la filiera dell'arredo torna sui propri passi. Nel corso della fase di espansione internazionale, Snaidero aveva acquisito un'azienda in Germania. Oggi quelle linee produttive sono concentrate a Majano. Si tratta di una mossa strategica che punta sul valore di una cucina Made in Italy al cento per cento. "È più facile vendere all'estero una cucina interamente italiana", ha commentato così la decisione il presidente Edi Snaidero. Ed è questo l'aspetto più intrigante del reshoring, un ritorno della manifattura in Italia, nonostante gli alti costi del lavoro e dell'energia, per poi puntare verso l'export. Insomma tutto il contrario di quanto accadeva 10 - 15 anni fa quando le aziende andavano all'estero attratte dal lavoro low cost per poi importare i prodotti in Italia. Di mezzo c'è stata la grande crisi, il crollo della capacità di spesa dei consumatori sul mercato interno, la disoccupazione dilagante, causata anche dall'esodo di massa delle imprese che delocalizzano. Oggi l'industria fa marcia indietro per guardare avanti. È tornata a casa anche Lima Corporation di San Daniele, uno dei casi eccellenza sui cui ha posto maggior enfasi l'Uni-Club Reshoring. L'azienda friulana, oggi in mano al fondo Eqt, produce protesi ortopedici. Aveva scelto di fabbricarle in Oriente, scoprendo presto che l'assenza di manodopera e di fornitori qualificati, assieme alla scarsa produttività, erano ostacoli allo sviluppo.  C'è poi un reshoring di prossimità. La conceria Ita di Vascon Carbonera (Treviso) ha affidata la produzione di accessori di pelle pochette, portafogli e portapipa, un tempo delocalizzata, al laboratorio dirimpettaio di Tz lab di Udine.

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