«Le Generali diventeranno prima compagnia in Europa: questa la sfida del futuro»
«Avrei volentieri rinnovato l’accordo con Intesa SanPaolo nella bancassicurazione ma la maggioranza del cda era contraria»
TRIESTE
Antoine Bernheim dalla vetta dei suoi 84 anni punta il cannocchiale sul passato, suo e di Generali, ma non si tira affatto indietro nemmeno dinanzi alla tentazione di dare uno sguardo al futuro (suo e di Generali). Nel giorno dell'assemblea degli azionisti, il finanziere francese che veste i panni di custode della "italianità" della Compagnia del Leone, parla della crisi internazionale, della riorganizzazione del gruppo avviata con la fusione Toro-Alleanza, dell'accordo fallito con banca Intesa, della governance,. E della possibilità di mantenere il timone della società.
Presidente Bernheim, partiamo dal contesto in cui ci troviamo. Ritiene che i governi occidentali abbiano messo in campo tutte le iniziative più appropriate per condurci fuori dalla crisi?
Viviamo una crisi economica e finanziaria molto severa, rispetto alla quale i governi hanno attuato una autentica rivoluzione nelle loro politiche. Non si vede più la differenza tra sinistra e destra, quanto alle politiche economiche, quando per esempio pensiamo al piano di nazionalizzazione delle banche attuato dal governo conservatore di Bush. Gli Stati Uniti hanno messo a disposizione del sistema bancario una enorme massa di capitali. Non sono del tutto sicuro che loro abbiano congegnato ancora gli strumenti più adeguati per controllare che uso fanno i banchieri di quei soldi. Riguardo alla Francia, il piano di rilancio fa leva su un'intelligente accelerazione di nuove infrastrutture che producono efficienza e lavoro, mentre le banche mi pare stiano tornando complessivamente a funzionare. Il sistema bancario italiano è tra i meno intaccati dalla crisi finanziaria globale, perché poco esposto ai titoli tossici e ai subprime americani. E poi, nella misura in cui hanno bisogno di liquidità, le banche italiane possono accedere ai Tremonti bonds. Particolarmente preoccupante appare la situazione nell'Europa centrale, dove alcuni paesi, già prima della crisi, hanno enormi problemi a finanziare la loro crescita. In Spagna la crisi è profonda, come posso vedere dall'osservatorio del Santander, di cui sono amministratore per conto di Generali. Santander è una delle migliori banche del mondo e ciononostante il titolo è caduto in modo davvero anomalo.
Lei è tra coloro che vedono indizi di una ripresa o, quanto meno, di un rallentamento della crisi?
Premesso che sono agli antipodi della cultura catastrofista imperante da qualche mese a questa parte, mi pare che i segnali di ripresa ci siano. Il punto vero, una volta che le banche avranno ricominciato a immettere liquidità nel corpo dell'economia, consiste nella tenuta dei posti di lavoro e quindi della capacità di spendere dei consumatori. Dopo di che, il catastrofismo diffuso anche dai media non fa che creare panico e sfiducia: pare ci sia una sorta di gara a chi la vede più negativamente. C'è pure chi dice che questa crisi non è arrivata al fondo e sarà peggiore del '29. Mi chiedo chi se la ricorda, la crisi del '29?.
Nemmeno lei ne avrà un ricordo personale, della crisi del '29.
Avevo cinque anni, nel '29, non posso dire che me ne sono fatto un'idea. Ma ho bene impresso che la mia famiglia lasciò un appartamento sontuoso e che abbiamo traslocato in un alloggio più semplice, con un affitto meno oneroso. Il potere d'acquisto per tutti, allora, decadde fortemente. Mi pare che le condizioni oggi siano diverse e che ci siano ragioni per confidare nel futuro.
Venendo a oggi, quale sviluppo immagina per Generali, tenendo anche conto dell'attuale panorama? Quali i paesi sui quali maggiormente puntate?
Data la mia età, per capire il futuro di Generali dovrete chiedere al mio successore. Ma posso dire intanto che contiamo molto sulla crescita del mercato in Cina, dove siamo già oggi la prima compagnia straniera nel ramo vita. Quanto alla Russia, abbiamo colloqui in corso con l'azionista di maggioranza di Ingosstrakh. Vorrei che Generali avesse un'importante presenza in Russia, ma fino a oggi questi contatti non hanno avuto esito. Non disperiamo. In India abbiamo formidabili possibilità di sviluppo. Più in generale, sono ottimista sulla possibilità di affermare la nostra ambizione di divenire la prima o la seconda compagnia d'Europa. Questa è la sfida del futuro.
Per accelerare e finanziare questo progetto di crescita su base internazionale, Generali avrà bisogno di un aumento di capitale?
Non abbiamo necessità di aumentare il capitale oggi. Nei periodi di crisi possono presentarsi opportunità di acquisizioni e quindi, se ci fossero occasioni eccezionali, sapremo trovare le risorse finanziarie. Abbiamo la credibilità per chiedere soldi ai soci e al mercato, nonostante le condizioni avverse del mercato attuale.
A parte il tema delle acquisizioni, quali sono le linee guida del futuro di Generali? La fusione tra Alleanza e Toro rappresenta solo un caso a se stante?
La fusione tra Alleanza e Toro tende a una razionalizzazione dei business Vita e Danni perseguiti oggi dalle reti delle due compagnie. Questa potrebbe essere una prima tappa di un percorso che coinvolgerà l'intero gruppo in Italia. È qualcosa che guardiamo con cautela, passo dopo passo, valutando bene prima quali saranno i vantaggi derivanti dall'integrazione tra Alleanza e Toro. Del resto, ho visto da vicino la moltitudine di compagnie fuse in Generali France, da 'Concorde' a ’Le Continent', da 'La France' a 'Trieste e Venise', con risultati assolutamente spettacolari. In questo momento, al vertice di Generali è in corso un dibattito tra chi vorrebbe accelerare questo processo di riorganizzazione e concentrazione in Italia, e chi è più freddo. Sono personalmente favorevole perché penso ci siano spazi per risparmi e recuperi di efficienza, ma non sono al cento per cento sicuro. Niente è stato ancora deciso.
Come intendete rimpiazzare l'accordo di bancassurance decaduto con il gruppo Intesa Sanpaolo?
Argomento molto delicato, perché personalmente avrei volentieri rinnovato l'accordo con Intesa SanPaolo. Se è vero che il fatturato diminuisse di anno in anno e fosse poco remunerativo per noi, portava quote di mercato. È stato proposto in Consiglio di amministrazione di rinnovare l'accordo, puntando a chiedere all'Antitrust di eliminare il vincolo che ci ha tolto la possibilità di commercializzare i nostri prodotti in un migliaio di sportelli Intesa. Ma la maggioranza degli amministratori di Generali non è stata d'accordo con me dunque l'accordo è stato disdettato. Spero, un giorno, che sapremo riprendere in mano un accordo di bancassicurazione con Intesa SanPaolo. Generali resterà comunque, finché ci sarò io, azionista devoto e leale di Intesa, per la stima e l'ammirazione che ho nei riguardi di Bazoli e di Passera, che hanno creato un ottimo istituto. Dopo di che, a mio parere, dovremo cercare anche altri partners per sviluppare progetti di bancassurance.
Che cosa vi attendete dal 2009 in termini di risultati per la compagnia?
Le prime indicazioni sul fatturato del primo trimestre 2009 segnalano che siamo sostanzialmente allineati allo stesso periodo dello scorso anno, il che se sarà confermato dai numeri finali della trimestrale sarà un dato molto positivo. Sui risultati dell'annata è impossibile fare previsioni, date le condizioni di mercato. In fondo, soffriamo molto meno dei nostri principali concorrenti perché meno ci siamo esposti alla cosiddetta finanza creativa, dato che non abbiamo comprato titoli tossici né subprime. Abbiamo acquistato solo pochissimi prodotti derivati, in logica spot per operazioni di copertura. La cautela ci ha salvaguardati.
Parliamo di governance, ossia della cabina di regia del gruppo. Non è di ieri la contestazione per esempio, formulata anche dal presidente di Mediobanca Cesare Geronzi, secondo cui due amministratori delegati sarebbero troppi.
Il tema della governance mi innervosisce. La governance è buona se il management è buono, la governance è cattiva se il management è poco valido. Quando nel 2002 mi è stato chiesto di tornare in Generali, ho posto la condizione di avere poteri esecutivi e sono convinto che sia del tutto opportuno. Quanto alla questione dei due amministratori delegati, l'assetto è corretto perché chi gestisce il business in Italia non può coltivare al meglio anche i paesi stranieri. Il nostro amministratore delegato per l'estero ha rapporti con i capi di Stato e i massimi esponenti dei Paesi in cui operiamo, proprio perché il nostro rappresentante su questo versante dello sviluppo non può essere nulla di meno che un amministratore delegato. E poi, sulla base di una specifica delibera del Consiglio di amministrazione, il presidente è l'arbitro nel caso di disaccordo tra i due top managers. Tutto ciò per dire che la governance non è buona in sé, ma dipende solo dalla qualità dei dirigenti e dalla precisione con cui sono definiti i ruoli. Non avremmo ottenuto risultati così positivi, se il management non fosse stato di chiaro buon livello. Capisco dunque che i dirigenti possano essere criticati, ma criticare la governance è prova di stupidità. I miei nemici attacchino me, non lo strumento.
Presidente, lo scorso anno in assemblea è stato molto contestato, ma oggi ha ancora molti nemici?
Nell'assemblea del 2008 ho risposto per tutto il giorno a una raffica di critiche da ogni lato, mi sembravo più come un attore di cinema. Se ho molti nemici, come lei mi suggerisce, forse è la prova del mio successo. Nei paesi occidentali il successo genera gelosia e non riconoscenza. Se facessi male forse avrei più amici.
Si aspetta di essere ricandidato nel 2010, come riconoscimento del lavoro fatto?
Se leggete i giornali, vedrete che nel 2010 avrò 85 anni. Non sono un bebè e non porto da un pezzo i calzoni corti. Io non mi candiderò. Se la salute lo permettesse e se gli azionisti me lo chiedessero, potrei infliggermi la dolce violenza. Per mia natura faccio fatica a concepire la mia vita lontano dal lavoro. Sono affezionato a questa società, in cui sono entrato nel 1973 e in cui ho trascorso 10-12 anni da vicepresidente e 11 anni da presidente. Nel primo quadriennio della mia presidenza, Generali ha raddoppiato il fatturato e triplicato la capitalizzazione di Borsa. Dopo di che, come riconoscimento di questo buon lavoro fatto, mi sono meritato il benservito degli allora padroni di Mediobanca. Ma pur con tutte le trasversie e le difficoltà, tra le mura di questo palazzo ho passato un bel pezzo di vita.
Come definirebbe il rapporto, suo e di Generali, con Trieste?
Anche se magari non traspare, sono per natura fedele e penso che Trieste sia la sede irrinunciabile per Generali. Siamo una delle pochissime compagnie rimaste in città, vogliamo rimanerci. Trieste è Generali, Generali è Trieste. Riguardo alle tradizioni, quando sono tornato in Generali ho ripreso il filo del mecenatismo rivolto alle attività culturali, sociali, religiose, perché sono persuaso che tali iniziative appartengano al profilo storico della compagnia e al suo prestigio. Ovviamente, sarebbe più semplice e per certi versi più funzionale avere la sede a Milano, perché Trieste non è certo al centro del mondo, però finché ci sarò io la questione non si pone. A titolo puramente personale, non posso dire che Trieste sia la città dei miei sogni, qui ho davvero pochi amici anche se ci vengo da un quarto di secolo e se, in effetti, non mi ci trovo mai da solo.
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