Le frane sul Calvario svelano la Grande guerra
In linea generale il rischio idrogeologico rappresenta una minaccia in tutta Italia. Da Nord a Sud il pericolo smottamenti preoccupa praticamente ogni amministrazione comunale. Gorizia non fa eccezione, ma nel territorio municipale del capoluogo isontino c’è una zona dove i movimenti del terreno possono diventare una risorsa per gli storici.
È quella del Monte Calvario, teatro di aspri scontri e bombardamenti durante la Prima guerra mondiale. Le abbondanti piogge dei giorni scorsi hanno fatto muovere il terreno in diversi punti e questo può aver portato alla luce reperti fino ad oggi sepolti sotto metri di terra. Per quanto modesta, l’altura a Ovest della città durante la Grande guerra rappresentò un obiettivo strategico tanto per gli italiani, quanto per gli austriaci perché dalla sua cima si potevano controllare allo stesso tempo Gorizia, l’Isonzo e la sua pianura, il Collio, i monti Sabotino e San Gabriele e i rilievi del San Michele. Gli eserciti nemici si affrontarono a più riprese per conquistarlo o per respingere gli assalti nemici. La battaglia del 19 luglio 1915 con protagonisti di Carabinieri reali divenne uno degli episodi più epici nella storia dell’Arma.
Secondo gli ordini, l'assalto "doveva essere condotto soltanto alla baionetta, senza l'uso del fuoco" e, in base alla storiografia ufficiale, durante tutta l'azione, nemmeno un colpo partì dai fucili dei carabinieri. Tra le fila italiane i morti furono 53. Tra essi, in quel tragico giorno, ci fu anche il capitano Eugenio Losco, primo ufficiale dell’Arma a cadere durante la Prima guerra mondiale. Sul Calvario, durante la Quarta battaglia dell’Isonzo, cadde il 3 dicembre 1915 pure Scipio Slataper. I combattimenti continuarono anche dopo Caporetto quando i soldati italiani rimasti in città ripiegarono lassù per difendere la testa di ponte. A rendere difficile la presa del monte furono le condizioni del terreno argilloso. A descrivere bene la situazione fu la reporter di guerra ante-litteram Alice Schalek. Nel suo “Isonzofront. Marzo-luglio 1916” (recentemente ripubblicato dalla Leg nella collana Biblioteca di arte militare) racconta, tra le altre cose, la situazione che ha trovato durante il suo sopralluogo in prima linea. Annota la scrittrice viennese: «Il terreno è tutto sconvolto. Tronconi d’albero, nudi, lacerati, i resti del famoso castagneto del Podgora, spuntano come forche dal brodoso intingolo. L’acqua giallo-grigia sprizza sulle scarpe fino all’orlo.
Una confusione di terrapieni difficile da definire, ripari di trincea, cesti di vimini pieni d’argilla che commuovono perché i loro rami, strettamente intrecciati, cominciano a gettar germogli, e poi trugoli di fil di ferro foderati di tela di sacco, cavalli di frisia e sacchi di sabbia sono sparsi qui nel fango in un caos desolato. È piovuto giorno e notte e nulla è riuscito a resistere all’acqua». Dettagli a parte, la fotografia potrebbe essere stata scattata anche in questi giorni. Percorrendo le strade che salgono e scendono dal Calvario non è difficile vedere cascate d’acqua al bordo della carreggiata o qualche smottamento che ha trascinato del fango sull’asfalto. Considerato il fatto che la zona è di fatto disabitata, i movimenti della terra non mettono a repentaglio la vita di nessuno e non c’è neppure più il pericolo che i vecchi cimiteri militari di Lucinico vengano a loro volta sepolti dai detriti. Chi grazie ad uno smottamento una decina d’anni fa ha ricavato molti indizi per le sue ricerche storiche sulla Prima guerra mondiale è stato Pierluigi Lodi. «Insieme ad Andrea Spanghero avevo trovato sotto il fango i resti dei combattimenti – ricorda – e, successivamente, questi dettagli hanno aperto diverse porte sui fanti dell’11° Reggimento fanteria della Brigata Casale e sui Dalmatiner del 37° Schützer. Fu come se i soldati volessero dirci qualcosa. Qualche volta gli smottamenti sono positivi: permettono azioni di micro-archeologia portando in superfice le prime linee di combattimento».
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